Roma, 10 aprile – Le parafarmacie non possono utilizzare apparecchiature di autodiagnostica rapida per il rilevamento di prima istanza dei valori di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale. È quanto ha sentenziato la Corte costituzionale, accogliendo il ricorso del Governo contro la legge regionale del 16 maggio 2016, n. 11, che apriva anche agli esercizi di vicinato abilitati alla vendita di farmaci questa possibilità. Un allargamento indebito, però, per i giudici della Consulta, perché le leggi vigenti non affidano alle parafarmacie il servizio di tutela della salute che è invece garantito dalle farmacie: consentire loro servizi di autodiagnostica di prima istanza Il motivo? Questa deroga alle parafarmacie abbassa illegittimamente gli standard di tutela della salute dei cittadini.
Oggetto del contenzioso era, in particolare, la disposizione dell’art. 2 della legge n.11/2016 del Piemonte, laddove, integrando una norma della precedente legge regionale (la n. 21/1991) riguardante Norme per l’esercizio delle funzioni in materia farmaceutica, prevede che nella parafarmacie “l’impiego di apparecchi di autodiagnostica rapida è consentito limitatamente al rilevamento di prima istanza di trigliceridi, glicemia e colesterolo totale, secondo le modalità stabilite da disposizioni della Giunta regionale”.
Una norma subito impugnata dal Consiglio dei Ministri, perché ritenuta in contrasto “con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute – alla quale è da ricondurre la disciplina del servizio farmaceutico – e viola pertanto l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione”. Nel suo ricorso, il Governo aveva anche rilevato l’incompatibilità della legge piemontese anche con il decreto legislativo 153/2009 (la famosa legge sui nuovi servizi in farmacia), che “per garantire adeguate condizioni di sicurezza e di tutela della salute per l’utente, riserva i servizi sanitari afferenti l’impiego di detti dispositivi alle farmacie nell’ambito del Ssn”.
Ragioni riconosciute e accolte dalla Consulta, che con sentenza n. 66/2017 depositata in Cancelleria il 7 aprile scorso ha bocciato la legge regionale del Piemonte, ritenendo che la legge statale limita la possibilità di effettuare le prestazioni analitiche di autocontrollo (nelle quali rientrano quelle contemplate dalla disposizione regionale impugnata) alle sole farmacie.
La norma regionale del Piemonte, invece, amplia il novero degli esercizi commerciali abilitati a effettuare queste prestazioni analitiche, “includendovi quelli a cui la legislazione statale permette solo la vendita di talune ristrette categorie di medicinali, ponendosi così in chiaro contrasto con l’interposta legislazione statale”.
La giurisprudenza costituzionale, si legge nella sentenza della Consulta, che cita al riguardo il DLgs n.153/2009, è infatti costante “nel ritenere che i criteri stabiliti dalla legislazione statale relativi all’organizzazione dei servizi delle farmacie costituiscano ‘principi fondamentali’ in materia di tutela della salute, in quanto finalizzati a garantire che sia mantenuto un elevato e uniforme livello di qualità dei servizi in tutto il territorio, a tutela di un bene, quale la salute della persona, che per sua natura non si presterebbe a essere protetto diversamente alla stregua di valutazioni differenziate, rimesse alla discrezionalità dei legislatori regionali”.
La pronuncia dei giudici delle leggi è chiara: la circostanza che, in virtù degli interventi di liberalizzazione del legislatore, gli “esercizi di vicinato e le grandi e medie strutture di vendita” possano vendere “talune classi di medicinali non soggette a prescrizione medica” non significa che siano state liberalizzate anche le “prestazioni analitiche di prima istanza”, come, appunto, i test di controllo di alcuni valori del sangue. Un conto è vendere alcune limitate categoria di farmaci senza ricetta, insomma, altro svolgere attività e rendere servizi che la legge statale limita alla sola farmacia. Una pronuncia che – fin troppo facile prevederlo – non mancherà di pesare nel dibattito ancora irrisolto sulle sorti di quella che la stessa politica ha definito “l’anomalia italiana” delle parafarmacie, esercizi che – a 11 anni dalla loro istituzione e certamente non per loco colpa – continuano di fatto a restare in mezzo al guado dell’irresolutezza e dell’equivoco.