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venerdì 19 Aprile 2024
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Trattamento epatite C, Italia modello per l’Europa e per il mondo

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Roma, 26 luglio – Trattare tutti i pazienti con epatite cronica da virus dell’epatite C con i nuovi farmaci ad azione antivirale migliora lo stato di salute e risulta essere sostenibile.

È il risultato dello studio Modelling cost-effectiveness and health gains of a “universal” vs. “prioritized” Hcv treatment policy in a real-life cohort, condotto nell’ambito della Piattaforma italiana per lo studio delle Terapie dell’Epatite virale (Piter), coordinata dal Centro per la Salute globale dell’Iss in collaborazione con l’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf), la Società italiana di Malattie infettive e tropicali (Simit) e l’Alta scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Altems).

Lo studio, che coinvolge circa 100 centri clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale, è stato pubblicato ieri sulla prestigiosa rivista dell’Associazione americana Hepatology per lo studio delle malattie del fegato.

I ricercatori – si legge in una nota dell’Iss – hanno valutato il profilo di costo-efficacia della politica sanitaria “universale” attraverso un approccio di proiezione modellistica in 8.125 pazienti della coorte Piter generalizzati per un contesto europeo, applicando la media europea dei prezzi dei farmaci anti-epatite C e del costo della malattia epatica da virus dell’epatite C.

 “Lo studio ha dimostrato che in entrambi i contesti (italiano ed europeo) il trattamento di tutti i pazienti con infezione cronica da Hcv, anche in stadi di malattia lieve, consente benefici superiori in termini di salute, rispetto all’applicazione della politica di trattamento prioritizzato” spiega Loreta Kondili, ricercatrice presso il Centro per la Salute globale dell’Iss e responsabile scientifico di Piter.  “I benefici proiettati negli anni dopo l’eliminazione del virus con la terapia antivirale, sin nelle fasi precoci del danno del fegato, sono stimati in casi evitati di pazienti con cirrosi del fegato e con tutte le conseguenti complicanze (quali scompenso della cirrosi, sviluppo di epatocarcinoma, bisogno di trapianto di fegato e morte a causa della malattia di fegato), nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti guariti, e nella  riduzione dei costi sanitari delle cure in riferimento alle patologie Hcv correlate ”.

“È stato valutato” aggiunge  Kondili “il profilo costo/beneficio incrementale interpretabile come costo sostenuto per un anno di vita guadagnata in piena salute applicando la politica “universale” versus quella “prioritizzata”.

Questo rapporto di costo/beneficio incrementale, varia tra € 8.775 (per lo scenario italiano) a € 19.541,75 (per lo scenario generalizzato europeo) per ogni anno di vita in buona salute guadagnata (Quality adjusted life years,  Qaly), entrambe stime nettamente inferiori rispetto alla soglia di € 35.000 per Qaly sotto la quale un intervento sanitario è considerato un corretto investimento in salute da Nice, l’Istituto di Eccellenza clinica londinese.

Lo studio valuta e conclude che unitamente a un abbassamento progressivo dei prezzi dei farmaci antivirali, arrivando ad una soglia di circa 4.000 euro a regime terapeutico, trattare tutti i pazienti indipendentemente dallo stadio del danno del fegato risulta essere una politica lungimirante e determinante, in quanto “comporta maggiori benefici con minor costi per il Sistema sanitario”.

 “L’Italia rappresenta una peculiarità per quanto riguarda l’infezione da virus dell’epatite C”  spiega Walter Ricciardi, presidente dell’Iss  “in quanto è uno dei Paesi con maggior prevalenza dell’infezione in Europa. Per questo motivo, il nostro studio, che ha permesso di generalizzare i dati di costo beneficio a partire dai dati di pazienti arruolati nella coorte Piter senza nessuna discriminazione in termini socio-demografici e di assistenza sanitaria, fa dell’Italia un modello per l’Europa e per il mondo”.

“I risultati dell’indagine supportano da un punto di vista scientifico la recente politica annunciata e messa in atto dall’Aifa, quella cioè di trattare tutti i pazienti con infezione cronica da Hcv” conclude Stefano Vella, direttore del Centro per la Salute globale dell’Iss e presidente dell’Aifa.  “Ci è sembrato di fondamentale importanza valutare quali sarebbero i benefici e i costi di un trattamento ‘universale’ di tutti i pazienti e non solo dei pazienti ‘prioritizzati’, ovvero con malattia avanzata del fegato, proprio per gli importanti guadagni in termini di salute e per la parallela riduzione nel tempo dei costi sostenuti dal Servizio sanitario nazionale”.

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