Roma, 13 marzo – Solo tre over 65 su 100, in Italia, sono assistiti a domicilio, a fronte di tre milioni di persone affette da multicronicità e disabilità severe che necessitano di cure continuative a casa o in strutture di prossimità del territorio. Questo il quadro tracciato ieri a Milano in occasione di un incontro promosso dalla rete nazionale Italia Longeva, presieduta da Roberto Bernabei (nella foto), professore ordinario di Medicina interna e Geriatria all’Università Cattolica e direttore del Dipartimento Scienze dell’invecchiamento della Fondazione Policlinico Agostino Gemelli Irccs. Tema del convegno, tenutosi al Pirellone, la “babele” delle cure fra le mura domestiche, con un confronto tra tutti gli attori coinvolti nella filiera.
Sullo sfondo le proiezioni in base alle quali nel 2030 si stima saranno otto milioni gli anziani con almeno una malattia cronica grave, cinque milioni dei quali disabili. E questo mentre già oggi il servizio sanitario è in sofferenza, i pronto soccorso super affollati in gran parte da anziani.
L’iniziativa, riassume un lancio di Adn Kronos, ha preso il via da due indagini sull’Adi realizzate da Italia Longeva nel 2017 e nel 2018. Coinvolte 35 Asl di 18 Regioni che offrono servizi territoriali a 22 milioni di persone, oltre un terzo della popolazione italiana. “Gli anziani, pochi, curati tra le mura domestiche” rilevano le indagini “ricevono in media 20 ore di assistenza domiciliare ogni anno, a fronte di Paesi europei che garantiscono le stesse ore in poco più di un mese”.
Si osserva “una forte disomogeneità dell’offerta lungo lo Stivale, che non segue in maniera chiara un gradiente Nord-Sud, e talvolta è anche all’interno di una stessa regione. Prendendo in esame le sole Lombardia, Lazio, Toscana, Marche e Puglia si osserva, ad esempio, che due Ats lombarde (Brianza, Milano) e l’Asur Marche riescono a garantire ai loro anziani oltre il 90% delle prestazioni a più alta valenza clinico-assistenziale previste nei Lea, a fronte di valori di altre Asl che superano di poco il 60%”.
Differenze si notano anche “sulle ore di assistenza dedicate al singolo anziano, che oscillano da un minimo di 9 a un massimo di 75 nell’Asl Roma 4, quasi il quadruplo della media nazionale”. Per quanto riguarda il costo pro capite dei servizi, riportano ancora le indagini, prendendo a esempio la Lombardia “si va dai 543 euro dell’Ats Montagna agli 891 dell’Ats Brianza, dunque un delta significativo nell’ambito di una stessa Regione”.
La differenza, chiariscono gli autori, “non è sempre ascrivibile a inefficienze delle aziende sanitarie. Al contrario, l’esistenza di modelli organizzativi così eterogenei, che presuppongono differenti gradi di intensità assistenziale, è dovuta alla suddivisione dei servizi stessi tra il sistema delle cure domiciliari e gli altri attori che contribuiscono alla long-term care. Tali differenze sono il frutto dell’adattamento dei servizi alle esigenze dei singoli territori”.
Questa fotografia, commenta il presidente di Italia Longeva Bernabei, “conferma che continuiamo a curare i nostri vecchi (quasi il 25% degli italiani) nel posto sbagliato, perché ancora gestiamo la cronicità negli ospedali, con costi straordinariamente superiori rispetto alla gestione in Adi. Per superare questo stallo, è necessario un fronte comune tra operatori pubblici e privati dell’assistenza domiciliare. Il nostro compito è quello di individuare delle strategie per rafforzarla quale modello innovativo di welfare, ciambella di salvataggio per il nostro Servizio sanitario”.
Per questa missione gli esperti guardano all’innovazione tecnologica come alleata: dalla digitalizzazione della cartella clinica e l’utilizzo di un sistema standardizzato di valutazione del bisogno per sistematizzare le fasi di presa in carico e gestione degli assistiti, fino alle promesse della tecnoassistenza che garantirebbe l’accesso alle cure domiciliari anche agli anziani dei territori geograficamente più ‘difficili’, e che in generale accorcerebbe i tempi e gli spazi.