Roma, 6 dicembre – “Un incontro urgente al fine di illustrare i rischi derivanti dall’applicazione del provvedimento“. È quanto avevano già chiesto al Governo Alliance Healthcare, Dr. Max, Lloyds Farmacia, Admenta Italia e Hippocrates Holding, facendo seguito alla lettera aperta (cfr. RIFday di ieri) inviata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i vicepresidenti Matteo Salvini e Luigi di Maio per chiedere di riconsiderare il subemendamento proposto dal deputato M5S Giorgio Trizzino (nella foto), che prevedeva come è noto lo scioglimento delle società il cui capitale sociale non è costituito almeno per il 51% da farmacisti.
La richiesta, avanzata dopo l’approvazione della misura in Commissione Bilancio nella seduta notturna tenutasi tra martedì e mercoledì, è stata poi superata dagli eventi, per lo stop imposto all’emendamento dal presidente della Camera Roberto Fico nella seduta d’Aula tenutasi prolungatasi fino alla tarda serata di ieri. Un’evoluzione in qualche modo inopinata e rapida della situazione che – anche nel caso non faccia venire meno i motivi di una interlocuzione diretta con l’esecutivo – ha certamente sottratto all’incontro ogni carattere d’urgenza. Non appare inutile, però, registrare anche in questo caso (così come nel caso di Federfarma e Utifar) le argomentazioni con le quali le cinque società sostenevano la propria richiesta.
Il subemendamento “rappresenta un grave ostacolo agli importanti investimenti già avviati negli ultimi mesi da numerose imprese, italiane e internazionali, proprio in virtù delle modifiche introdotte dal ddl Concorrenza del 2017″ scrivono in una nota congiunta le cinque società. “La liberalizzazione del mercato italiano delle farmacie era stata infatti introdotta in risposta a una chiara sollecitazione dell’Europa, che da tempo chiede ai Paesi membri riforme in questa direzione”.
“Il problema principale per le imprese che desiderano investire in Italia” prosegue il comunicato “è proprio quello dell’incertezza delle norme e delle continue modifiche che intervengono nella legislazione, in totale assenza di una discussione aperta e trasparente su quali siano le conseguenze delle decisioni assunte, anche in relazione agli sviluppi internazionali, alle ricadute in termini di investimenti mancanti e alla creazione di posti di lavoro. In questo senso, i principali ranking internazionali sulla competitività italiana nell’attrarre business confermano le difficoltà sopra descritte”.
“La legge, così come approvata nell’agosto 2017” affermano ancora le cinque società, che si riconoscono nella autodefinizione ‘settore delle farmacie libere’ “porta vantaggi significativi anche per le farmacie indipendenti, molte delle quali in gravi difficoltà economiche, che hanno potuto e potranno decidere liberalmente se vendere, rimanere indipendenti o espandersi: è diventato più semplice in questo modo creare delle catene, favorendo uno sviluppo della propria attività su scala più ampia e cogliere così nuove opportunità di mercato”.
“La liberalizzazione ha aperto significative opportunità ai Comuni di tutta Italia per la cessione delle farmacie comunali” prosegue quindi il comunicato. “Come noto infatti i Comuni, a seguito della riforma Madia, stanno oggi vendendo le farmacie di proprietà e ricercando compratori qualificati, in grado di riqualificarle in modo efficace e vantaggioso per la comunità locale”.
“Alla luce di queste considerazioni” concludevano le cinque società “il settore richiede un incontro urgente con l’esecutivo, volto ad aprire subito un dialogo per la rivalutazione della misura, nel pieno interesse del Paese”. Il dialogo non è escluso che possa anche aprirsi, in futuro, ma le ragioni per “l’incontro urgente” sono indubitabilmente del tutto venute meno, con piena e comprensibile soddisfazione (è lecito ritenere) delle società firmatarie del comunicato.