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domenica 15 Giugno 2025
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Dl Calabria, inammissibili gli emendamenti con i limiti al capitale in farmacia

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Roma, 16 maggio – Ritenta, sarai più fortunato. Chiunque, da bambino, abbia scartocciato anche una sola confezione di certi chewing gum rosa, un tempo molto popolari, si sarà certamente imbattuto nel cartiglio riportante questa frase, in luogo dell’agognato buono che avrebbe consentito di ottenere gratis un altro pacchetto di gomme. Quell’antico (ma efficace) espediente di marketing torna inevitabilmente in mente di fronte al destino delle misure che il principale partito di governo, il M5S, tenta da qualche mese di introdurre nel nostro ordinamento per “correggere” le disposizioni della legge 124/17 sulla concorrenza che hanno dato il via libera all’ingresso del capitale nella proprietà delle farmacie, introducendo l’obbligo di riservare almeno il 51% delle quote di una società proprietaria di farmacia (o farmacie) a farmacisti iscritti all’Albo.

La misura, presentata per la prima volta alla fine dello scorso anno, con un subemendamento alla Legge di bilancio 2019 firmato dal deputato pentastellato Giorgio Trizzino e sostenuta pubblicamente e con forza dalla stessa ministra della Salute Giulia Grillo, nonostante le buone intenzioni e i reiterati tentativi dei parlamentari a cinque stelle finisce sempre per restare al palo.

È quanto è accaduto anche in occasione dell’ultimo tentativo (il nostro giornale ne ha riferito ieri), posto in essere “approfittando” dell’iter di conversione del cosiddetto decreto Calabria: l’emendamento a prima firma Trizzino, sempre lui, volto a introdurre un limite ai capitali, con l’obbligo del 51% di quote in capo a farmacisti iscritti all’Albo, è stato dichiarato inammissibile per estraneità della materia con il provvedimento. Identica sorte ha conosciuto l’emendamento (a prima firma del deputato Nicola Provenza, anch’egli M5S)  volto a limitare derive oligopolistiche, prevedendo che i titolari di farmacia e le società di capitali  possano controllare non più del 5% delle farmacie esistenti su base comunale e comunque non più del 10% delle stesse su base nazional.

Non è andata meglio alla proposta correttiva (prima firma Leda Volpi, M5S) che si proponeva di contrastare le indisponibilità di medicinali nel circuito distributivo introducendo la possibilità di blocco temporaneo delle esportazioni in determinate circostanze, nel caso in cui ciò si renda necessario per prevenire o limitare stati di carenza. E sempre contro lo scoglio dell’inammissibilità sono andati a sbattere (e per il momento a naufragare) anche altri emendamenti di diretto interesse per la farmacia, come quello volto a modificare la disciplina in materia di prescrizioni di medicinali nei casi di primo trattamento di malattia cronica o di nuovo episodio di malattia non cronica per il quale sono disponibili più medicinali equivalenti (primo firma Giuseppe Chiazzese, M5S),  quello sul patent linkage a prima firma della deputata pentastellata Silvana Nappi, diretto ad abrogare una disposizione che impedisce, in sede di aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale, di classificare i medicinali equivalenti come farmaci a carico del Ssn con decorrenza anteriore alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare e quello (a prima firma di Francesca Troiano, sempre M5S) diretto a prevedere norme specifiche per i medicinali di importazione parallela, ovvero le specialità medicinali per uso umano importate da uno Stato membro dell’Unione europea nel quale risultano autorizzate, già registrate in Italia a favore di un titolare di Aic diverso dal soggetto importatore. La misura correttiva prevedeva di modificare l’art. 12 del Dl n.158/2012, attribuendo anche a questi medicinali i medesimi regimi di fornitura, classificazione e prezzo al pubblico accordati alla specialità medicinale oggetto di importazione parallela già registrata in Italia.

A pronunciare la sentenza di inammissibilità è stata la stessa presidente della Commissione Affari sociali (dove è appunto in corso l’esame del disegno di conversione in legge del decreto), Marialucia Lorefice (nella foto),  peraltro firmataria di alcuni degli emendamenti respinti (su tutti quelli a prima firma  Trizzino e Provenza) e che dunque ha in qualche modo “bocciato” se stessa.

Ma, al di là degli aspetti singolari, resta la sostanza:  ancora una volta, le misure finalizzate a “temperare” le possibilità d’azione del capitale in farmacia hanno trovato la strada sbarrata. Resta ora da vedere se il M5S, che si è fatto alfiere di questa battaglia, ritenterà ancora, come è probabile. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Parlamento giace una proposta di legge  a firma di Trizzino (sempre lui), annunciata a Montecitorio nella seduta del 28 marzo scorso e rubricata con il numero C 1715, volta a introdurre per le società proprietarie di farmacia l’ormai famoso obbligo del 51% di quote a farmacisti iscritti all’Albo, anche se la via di una proposta di legge ordinaria è notoriamente lunga e impervia, in un Paese come il nostro.  L’impressione, insomma,  è che – nonostante l’asserita volontà politica e gli slogan (“Svendere le farmacie alle multinazionali? No grazie”, copyright Giulia Grillo) – le possibilità di trovare quel benedetto cartiglio con la scritta “Hai vinto!”, già premio alla perseveranza dei masticatori di gomma, siano nel caso di specie abbastanza ridotte. La partita, in ogni caso, resta ancora aperta.

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