Italia, emergenza demografia: solo 67 nati ogni 100 decessi. Mattarella: “Correre ai ripari”

Italia, emergenza demografia: solo 67 nati ogni 100 decessi. Mattarella: “Correre ai ripari”

Roma, 12 febbraio – La recessione italiana non riguarda solo l’economia, ma anche la demografia: secondo i dati provvisori dell’Istat relativi al 2018, sono stati iscritti all’anagrafe per nascita oltre 439 mila bambini, quasi 140 mila in meno rispetto al 2008.  Il calo delle nascite è dovuto in larga prevalenza  alle Regioni del  Mezzogiorno e del Centro, mentre nel Nord Italia la natalità mantiene buoni livelli, in particolare a Bolzano (5 nuovi nati per mille), Trento (3,6 per mille),  Lombardia ed Emilia Romagna.

Il numero delle nascite è decisamente inferiore a quello dei decessi,  647 mila:  si tratta, sottolinea l’Istat, “del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918″. La differenza è infatti di 212 mila unità: per ogni 100 persone che muoiono in Italia dunque ne nascono solo 67, dieci anni fa erano 96. L’età media degli italiani si alza a 45,7 anni.

I dati, contenuti nel Rapporto annuale dell’Istituto centrale di statistica, attestano un vero e proprio “declino demografico” del nostro Paese, che per il quinto anno consecutivo registra un calo dei nuovi nati, sostenuto da altri e non meno drammatici dati: quasi la metà (45%) delle donne italiane tra i 18 e i 49 anni non ha ancora avuto figli. E questo nonostante, a parole, la maternità non sia eslcusa: sono infatti meno del 5% coloro che dichiarano che l’avere figli non rientra nel proprio progetto di vita.

L’Italia che non fa figli, per rozza che possa apparire la semplificazione, è un Paese spaventato e che non crede nel suo futuro. Perchè la detanaltità, come ha ben sintetizzato ieri il Capo dello Stato Sergio Mattarella, “è un problema che riguarda l’esistenza del nostro Paese. Perchè l’Italia non è fatta dalle istituzioni ma dai suoi cittadini, dalle persone che vi vivono. Va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno” ha detto ancora il presidente,  spiegando che si rischia un indebolimento del “tessuto del nostro Paese”.

“Se fino al secolo scorso la componente demografica ha mostrato segnali di vitalità e ha spesso fornito un impulso alla crescita del Paese anche sul piano economico, oggi potrebbe svolgere, al contrario, un effetto frenante” ha spiegato il presidente dell’Istat, il demografo  Gian Carlo Blangiardo (nella foto). “Viene da chiedersi se siamo (e saremo ancora) un popolo che guarda avanti e investe sul suo futuro o se invece dobbiamo per lo più sentirci destinati a gestire il presente”. Insomma la questione demografica esiste e mette il Paese davanti a un bivio.

Come già anticipato, sono i migranti ad attutire il calo demografico. Il saldo migratorio con l’estero, positivo da oltre 40 anni, ha infatti limitato gli effetti del calo demografico: nel 2018 si stima un saldo positivo di oltre 190 mila unità. I cittadini stranieri residenti in Italia al gennaio 2019 sono 5,2 milioni (l’8,7% della popolazione). I minori di seconda generazione sono un milione e 316 mila, pari al 13% della popolazione minorenne; di questi, il 75% è nato in Italia (991 mila).

I giovani escono dalla famiglia sempre più tardi sperimentando percorsi di vita “meno lineari del passato”, che spostano in avanti le tappe di transizione allo stato adulto. Più della metà dei 20-34enni (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore. Ma c’è anche chi direttamente espatria. Il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo dal 2008 e ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti. Circa la metà (208 mila) è costituita da 20-34enni. E quasi due su tre hanno un’istruzione medio-alta. La cosiddetta “fuga dei cervelli” non è dunque un clichè giornalistico, ma una realtà certificata dai numeri. E con i “cervelli” fuggono energie e competenze (sulle quali, peraltro, lo Stato ha investito risorse) che vanno a innervare altre società, altri Paesi, impoverendo il nostro.

Per contro, dal Rapporto emerge che gli italiani invecchiano più tardi. Il processo di invecchiamento è “caratterizzato da un’evoluzione positiva”: tra gli over65 “si osserva una maggiore diffusione di stili di vita e abitudini salutari”.  Aumenta la pratica di sport, dall’8,6% del 2008 al 12,4% del 2018. Anche la partecipazione culturale (cinema o teatro) cresce. Se si dovesse confermare la tendenza, le generazioni del baby boom, che avranno beneficiato di migliori condizioni, “diventeranno ‘anziane’ sempre più tardi”.

Aumentano anche i “grandi anziani”: a inizio 2019 gli over 85 sono circa 2,2 milioni. E l’Italia, insieme alla Francia, detiene il record europeo del numero di ultracentenari, quasi 15 mila. In generale, fa sapere l’Istat, “nel 2018 si stima che gli uomini possano contare su una vita media di 80,8 anni e le donne di 85,2 anni. Nel tempo i vantaggi di sopravvivenza delle donne rispetto agli uomini si sono ridotti”.

Secondo il Rapporto “a livello mondiale l’Italia contende al Giappone il record di invecchiamento: 165 persone di 65 anni e più ogni 100 giovani con meno di 15 anni per l’Italia e 210 per il Giappone, al primo gennaio 2017”. Siamo un Paese di vecchi, insomma, e può anche andar bene. Ma un Paese di vecchi, in assenza di ricambio demografico, in proiezione diacronica è ineluttabilmente destinato al declino. E questa sembra essere, al momento, la situazione dell’Italia.

E siccome le cattive notizie non arrivano mai da sole, dal Rapporto annuale Istat arriva anche la conferma del rischio di un nuovo calo del prodotto interno lordo del Paese. L’istituto ha infatti presentato una nuova stima, secondo la quale “la probabilità di contrazione del Pil nel secondo trimestre è relativamente elevata”. 

 

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