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venerdì 19 Aprile 2024
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Medici e farmacisti, quando Anelli e Mandelli parlavano di collaborazione concreta

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Roma, 20 settembre – “Farmacisti e medici, due professionisti che sappiano integrare le loro competenze specifiche e collaborino concretamente: i cittadini non hanno bisogno di un medico che sia un po’ farmacista o di un farmacista che fa un po’ il medico, ma di due professionisti che sappiano integrare le loro competenze specifiche e collaborino concretamente”.

È una dichiarazione del 2013 del presidente della Fofi Andrea Mandelli, a margine dei lavori del tavolo promosso dalla Direzione generale della programmazione sanitaria con l’obiettivo di favorire un confronto finalizzato a potenziare l’integrazione inteprofessionale tra medici e farmacisti. Parole del tutto in linea con la lunga teoria di affermazioni sul tema rese negli anni dal leader della federazione professionale dei farmacisti e da altri esponenti di primo piano della professione farmaceutica, e che hanno trovato corrispondenza in analoghe. reiterate affermazioni pubbliche di parte medica.

“Il ruolo tra farmacista e medico è sempre stato di grande collaborazione e scambio di competenze”  diceva ad esempio il presidente della Fnomceo Filippo Anelli intervendo a a Bari all’edizione del Caduceo d’Oro 2019 “e oggi si arricchisce, grazie alle potenzialità degli strumenti messi a disposizione di entrambi i professionisti, che consentono di monitorare meglio i cittadini e svolgere quell’azione di servizio per la cittadinanza che i due presidi, farmacia e studio del medico di famiglia, possono dare sul territorio”.

Gli stessi protagonisti sono stati tra gli alfieri, nel febbraio 2019, della prima grande assemblea di tutte le professioni sanitarie e della stesura di un manifesto comune, presentanto come una sorta di carta fondativa di una nuova consapevolezza e un nuovo impegno centrato sulla collaborazione e sull’integrazione dei professionisti della salute, dove si affermava orgogliosamente che “la sanità si evolve e lo deve fare per tutti i cittadini in modo assolutamente universalistico e uguale per tutti. E non lo farà mai più senza di noi”.

Solo un anno dopo, sulla spinta di quella manifestazione, nasceva al ministero della Salute, promossa dal suo titolare Roberto Speranza,  la Consulta delle professioni, organismo nato per diventare il centro di gravità permanente del confronto per il “popolo della sanità”, da sempre incline alle guerre intercategoriali e all’arroccamento a difesa dei propri spazi  professionali.

Insomma, sembrava che la stagione delle baruffe continue tra le professioni a difesa di interessi e competenze categoriali stesse ormai consumando i suoi ultimi giorni e la sensazione veniva subito rafforzata dall’arrivo dell’emergenza Covid, con medici, farmaciei e infermieri insieme in prima fila a lottare contro il coronavirus.

Passata – o meglio: sopita – la tempesta Covid, però, le professioni sanitarie hanno ricominciato ad azzuffarsi come se il manifesto condiviso per il rilancio sulla sanità e l’istituzione della Consulta delle professioni non ci fosse mai stato scritto. E dispiace che, ad animare le baruffe, ci siano tra gli altri proprio Anelli e Mandelli, che oggi – convinti entrambi di avere assolutamente ragione, come sempre accade quando non si riesce a sollevare lo sguardo dal proprio orticello per posarlo sull’orizzonte di interessi comuni e generali – dicono cose ben diverse da quelle che abbiamo voluto ricordare a inizio articolo.

In questo modo, purtroppo, consapevoli o meno che si sia, si aggiunge cemento al muro che continua a costringere il Paese nei confini asfittici di un passato che ostinatamente si rifiuta di passare.

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