
Farmacia in cambiamento: ricerca di Trade Lab, 42% già in rete (al Nord il 50%)

Roma, 19 gennaio – Times they’re a changing, cantava Bob Dylan intorno alla metà degli anni ’60 (e pazienza se la citazione finisce inevitabilmente per essere un coming out anagrafico). I tempi cambiano, sono essi stessi un cambiamento, e la farmacia non poteva certamente pretendere di sottrarsi a questa legge. Basti vedere a cosa è accaduto nel mondo del retail, dove nell’arco di una, due generazioni (un soffio!) si è passati dai negozi di vicinato ai supermercati e quindi alle grandi superfici e alla distribuzione moderna organizzata, con le sue tipologie di insegne con reti di esercizi di proprietà (come Coop, giusto per fare un esempio) e realtà che invece sono di fatto consorzi di dettaglianti affiliati (Conad, per intenderci). E oggi, come ognuno sa, quote crescenti di popolazione neppure si prendono più la briga di mettere il naso fuori di casa, per gli acquisti: qualche clic sul computer o lo smartphone, non di rado assistiti da una praticissima app, e l’acquisto è fatto, quale che sia il prodotto che ci serve. Per banale che sia ricordarlo, insomma, di “negozietti giù all’angolo” ormai ne sono rimasti in vita pochi e la nostra spesa (rito pressoché quotidiano, fino agli anni ’80 del secolo scorso) è diventata qualcosa d’altro e di diverso, finendo per diventare addirittura un rilevante fattore di cambiamento della nostra vita e delle nostre abitudini.
Per lungo tempo le farmacie hanno coltivato il pensiero che la loro specificità di presidi di salute (non semplici negozi, quindi) e il fitto reticolo delle norme di regolazione del farmaco a protezione della salute pubblica fossero un ombrello largo e forte a sufficienza per mantenere intatta la loro “riserva”. Un pensiero durato a lungo e rivelatosi però inesorabilmente illusorio: molte delle norme che a lungo avevano preservato e garantito l’unicità delle farmacie (il monopolio della vendita dei farmaci e il prezzo fisso degli stessi, la pianta organica, l’ereditarietà, fino alla proprietà dell’esercizio in capo al farmacista) hanno finito per essere cambiate, con la conseguente erosione (se non proprio sgretolamento) del sistema di garanzie che “proteggeva” le farmacie. Moltissime delle quali, peraltro, un po’ per scelta e un po’ per asserita necessità, non hanno certo disdegnato negli anni di strizzare l’occhio alle lusinghe di una certa deriva commerciale, andatasi particolarmente accentuandosi anche in ambito salutistico a partire dalla seconda metà degli anni ’70.
Com’è, come non è, il sistema delle farmacie ha finito per essere risucchiato dentro le logiche e le dinamiche che hanno caratterizzato l’evoluzione dell’intero settore distributivo. E lo sbarco del capitale nella proprietà degli esercizi, voluto dalla legge della concorrenza del 2017 (approvata durante il governo Gentiloni ma – va ricordato – partorita dalla cupiditas faciendi del Governo Renzi), ha accelerato il processo, “costringendo” di fatto le farmacie a sforzi adattativi che sono ancora faticosamente in corso, forse più subiti che governati, ma che hanno già prodotto uno straordinario cambiamento dell’ecosistema farmacia, inevitabilmente destinato ad avere ripercussioni profonde anche sulle sue strutture e le sue politiche di rappresentanza degli interessi.
A registrarlo con chiarezza è l’ultima analisi della società di consulenza e analisi TradeLab sull’evoluzione di reti e catene della farmacia. I dati dell’indagine, riferiti ai primi 10 mesi dell’anno scorso, sono sitetizzati e proposti da un puntuale articolo della newsletter specializzata PharmacyScanner, dal quale si apprende che il numero delle farmacie “aggregate”, ovvero in catena o affiliate a un network, è cresciuto di quasi tre punti percentuali rispetto al 2019, passando dal 39,2% al 42% alla fine del 2020, con la previsione che nel 2021 possano avvicinarsi alla soglia del 50%.