Crea: “Servono 50 mld e 280 mila operatori, o per il Ssn scatta l’universalismo selettivo”

Crea: “Servono 50 mld e 280 mila operatori, o per il Ssn scatta l’universalismo selettivo”

Roma, 27 gennaio – Almeno 50 miliardi in più: questa la cifra che consentirebbe alla spesa sanitaria italiana di avere un’incidenza media sul Pil analoga a quella degli altri Paesi dell’Unione europea, rispetto ai quali (il dato è riferito al 2021) registriamo un divario a dire poco eclatante: destiniamo alla spesa per la salute il 38% in meno, media che si ricava dal  -12% di spesa privata e il -44% circa di spesa pubblica.

Team di ricercaQuesto il dato più significativo che emerge dalla XVIII edizione del Rapporto Sanità del Crea, il Centro per la ricerca economica applicata in sanità dell’Università di Roma Tor Vergata, presentato a Roma l’altro ieri, dato che conferma in modo palmare – se mai ve ne fosse bisogno – quello che da anni denunciano tutti gli addetti ai lavori: la sanità italiana è drammaticamente sotto-finanziata.
Il puntiglioso lavoro del Crea, curato da Federico Spandonaro, Daniela D’Angela e Barbara Polistena (da sinistra a destra nelle foto), offre uno spaccato della realtà sanitaria del nostro Paese, mettendone a nudo le criticità, in larghissima parte conseguenza diretta del “peccato originale” appena ricordato, ovvero l’insufficienza delle risorse economiche destinate a questa fondamentale posta di spesa.

Dal 2000 al 2021, la spesa sanitaria nel nostro Paese  è cresciuta del 2,8% medio annuo, ovvero il 50% in meno che negli altri Paesi Ue di riferimento. Anche durante la pandemia di Covid (che pure è stata, et pour cause,  uno straordinario volano di accelerazione della spesa) è cresciuta meno che altrove, tanto che per colmare il gap  e metterci al passo degli altri Paesi servirebbe una crescita annua del finanziamento di 10 miliardi di euro per 5 anni, ai quali andrebbero poi sommate le risorse necessarie (almeno altri  5 miliardi) per garantire la stessa crescita degli altri Paesi europei di riferimento. Una prospettiva chimerica, in questi tempi di ristrettezze e alla luce dello stratosferico debito pubblico del Paese, ma questo è. Ma per i ricercatori del Crea trovare le risorse necessarie non è un’opzione, bensì una necessità: “Nei documenti di finanza pubblica  sono previsti meno di 2 miliardi di euro per anno, quindi circa un settimo del necessario per il riallineamento; date le dimensioni dello scarto, l’unica possibilità di andare oltre il finanziamento previsto è che si registri una crescita economica nazionale sostenuta e maggiore di quella media degli altri Paesi di confronto” scrivono i curatori del rapporto. “Se questo non avverrà, l’attuale assetto delle ‘garanzie’ del Ssn non è di fatto più sostenibile e bisognerà ridefinirlo. In altri termini, se non si determinerà una crescita adeguata o non si creeranno condizioni che fermino la perdita di risorse umane e aprano la strada all’accesso alle innovazioni, si dovrà passare a una logica di universalismo selettivo, che privilegi l’accesso dei più fragili (ma con un impatto non indifferente sull’equità del sistema sanitario)”.
Secondo il Rapporto, nel 2021 il finanziamento pubblico si ferma al 75,6% della spesa contro una media Ue dell’82,9% e la spesa privata pesa per il 2,3% sul Pil contro una media Ue del 2%: in soldoni significano oltre 1.700 euro di spesa in più a nucleo familiare, frutto anche del miliardo e passa di spesa per farmaci compresi tra quelli rimborsabili dal Ssn che viene “scaricato” sulle famiglie. E trova conferma anche il più volte denunciato aumento della cosiddetta “povertà sanitaria”: il rapporto del Crea stima che il 5,2% delle famiglie versa ormai in questa condizione, mentre  378.627 nuclei familiari (l’1,5%) si impoveriscono per le spese sanitarie e 610.048 (il 2,3%) sostengono spese sanitarie cosiddette “catastrofiche”.
Pesa poi moltissimo la questione della carenza di personale (soprattutto medici e infermieri), anche questa risolvibile solo allargando i cordoni della borsa: l’Italia, secondo i calcoli del Crea, dovrebbe investire 30,5 miliardi per  allinearsi agli organici di professionisti sanitari dei Paesi EU di riferimento,e questo senza tenere conto che i nostri bisogni di cura e assistenza sono più alti, in ragione dell’età media più alta della nostra popolazione.
Il Ssn, riassume il Rapporto Crea, si trova dunque davanti a tre grandi sfide: ridurre le sperequazioni (obiettivo imprescindibile di un servizio pubblico solidale e universalistico come il nostro), adeguare le dotazioni organiche (condizione necessaria per ammodernare il Ssn) e al contempo salvaguardare e garantire la sostenibilità del sistema. I primi due obiettivi richiedono risorse aggiuntive rilevanti (che non è certo facile reperire), ma il terzo si scontra con un dato di realtà, ovvero la “parsimonia” della finanza pubblica, che nei suoi documenti destina alla sanità una quantità di risorse, alla luce delle rilevazioni del Rapporto Crea, lontana anni luce da quanto davvero servirebbe per “riallineare” il Ssn italiano a quelli dei Paesi europei di riferimento. E ciò, conclude il Crea con un ragionamento coerente e conseguente, significa semplicemente una cosa: il nostro Servizio sanitario nazionale è attualmente insostenibile e non si vede come possa diventarlo nel prossimo futuro.
“La sostenibilità è questione inscindibile dalla definizione delle aspettative” concludono i curatori del Rapporto. “Se queste ultime sono rapportate ai livelli medi di welfare europei, l’unica possibilità per garantire la sostenibilità del servizio sanitario risiede nella capacità di innescare una crescita del denominatore, ovvero del Pil“.

Per quanto riguarda gli aspetti di più diretto interesse del nostro giornale, merita sicuramente di essere segnalata la plastica rappresentazione delle dinamiche della spesa farmaceutica italiana offerta dal Rapporto Crea, dalla quale si evince che la spesa convenzionata, nel 2021, ha assorbito appena un quarto della spesa farmaceutica totale (pubblica più privata), marcando un calo di 4,5 punti percentuali rispetto al rispetto al 2015.

Il dato, ovviamente, non sorprende, mentre può apparire inopinata la flessione registrata dalla spesa per farmaci in distribuzione diretta e per conto ( -2,6%), arrivando a pesare  il 14,4% sul totale della spesa per farmaci. Rientra invece pienamente nelle attese l’aumento per la spesa per i  farmaci ospedalieri, che vale il 31,4% della spesa totale ed è aumentata rispetto al 2015 del 5,5%.

Ma il capitolo del Rapporto Crea dedicato alla spesa per farmaci offre altri dati illuminanti, come quello della crescita lento pede (anzi, lentissimo) della spesa pubblica tra il 2015 e il 2021, cresciuta solo dello 0,6% medio all’anno e del 3,2% in totale. Decisamente  più consistente l’aumento della spesa privata, che ha segnato un incremento  del 2,3% all’anno e del 12,1% nel periodo complessivo. grazie anche agli aumenti dei farmaci di fascia C  e ai farmaci di fascia A acquistati out of pocket, che registrano un +0,8%.

Trova conferma la “resistenza” degli italiani all’impiego dei farmaci equivalenti: nel 2021 hanno rappresentato il 21% della spesa farmaceutica di classe A (in valori assoluti si tratta di 115 euro pro-capite, in aumento del 3,4% rispetto all’anno precedente) e il 29,8% dei consumi. Al solito, l’Italia viaggia a due velocità anche in materia di generici, più utilizzati nelle Regioni del Nord (dove raggiungono il 35% del totale della spesa, con un picco del 46% nella Provincia autonoma di Trento) e sempre visti con qualche diffidenza nelle Regioni del Sud, dove non si va oltre il 27%. con valori minimi sotto il 20% in Campania e Calabria.

 

XVIII Rapporto CREA Sanità (volume completo, 11Mb)

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