
Medicina di genere, survey Fofi per testare le conoscenze in materia degli iscritti
Roma, 31 gennaio – La medicina di genere, che solo agli inizi di questo millennio ha cominciato a diventare un argomento “notiziabile”, arrivando a guadagnarsi qualche titolo sulla stampa di informazione e nei rotocalchi televisivi, continua a restare una realtà sostanzialmente poco conosciuta. Solo negli ultimi 20 anni, grazie all’avvicendarsi di studi che hanno largamente dimostrato che le donne non sono “uomini più piccoli” e che il corpo maschile e quello femminile si differenziano sin dal livello cellulare, si dedica una maggiore attenzione al tema, riconoscendo che le differenze di genere in campo medico possono essere sostanziali per la salute e che riservare loro la dovuta considerazione, prima ancora che doveroso, è dunque necessario.
Ma nonostante queste nuove consapevolezze, le donne continuano a essere largamente escluse dai trials per nuovi farmaci e nuove cure, perpetuando la mancanza di dati anche sulle sintomatologie differenti tra i due sessi.
Anche se non si vogliono certamente disconoscere i passi in avanti compiuti per colmare il gap di attenzione e considerazione che la scienza medica ancora oggi dedica al genere femminile, è del tutto evidente che il problema continua a persistere, nonostante la buona volontà che da qualche tempo i legislatori stanno mettendo per definire un quadro di regole in grado di promuovere la medicina di genere. L’Italia, ad esempio, sulla scia dei nuovi regolamenti approvati nel 2014 dell’Unione europea, nel 2018 ha promosso un piano per l’applicazione della medicina di genere. Nel documento si legge: “La risposta alle terapie, in ambito di differenze di genere, riveste un’importanza rilevante. Nonostante queste variabili, gli effetti dei farmaci sono stati studiati prevalentemente su soggetti di sesso maschile e il dosaggio nella sperimentazione clinica è definito su un uomo del peso di 70 kg”. Un precisa ammissione di una situazione che continua a verificarsi anche se le donne (è un dato di realtà) sono le maggiori consumatrici di farmaci, farmaci che non sono stati sperimentati su di loro, che causano effetti collaterali più forti dati dall’iperdosaggio e che molte volte non funzionano affatto, come dimostrato anche dai molti studi e documenti prodotti sul tema dall’agenzia regolatoria americana Fda.
Insomma, le differenze di genere in medicina continuano a essere un problema, e la ricerca sulla salute delle donne deve essere una priorità di istituzioni e ricercatori, per arrivare quanto prima all’eliminazione delle disparità di genere in campo medico, non solo per una questione di benessere fisico e mentale, ma per una questione etica e di giustizia sociale. Sulla medicina di genere, dunque, è il caso di accendere i riflettori molto di più di quanto non sia stato fatto finora, e i primi a farlo debbono essere proprio i professionisti della salute.
Merita dunque un plauso una delle ultime iniziative lanciate dalla Fofi, che proprio in questi giorni ha lanciato tra i farmacisti iscritti all’Ordine professionale una survey per verificare la loro sensibilità al problema e (in qualche misura) il loro grado di conoscenza della materia. Un passo opportuno, e finanche necessario, per predisporre strumenti informativi adeguati per aiutare i farmacisti (che oggi sono in larga prevalenza… farmaciste, e dunque di default estremamente sensibili al tema) a combattere in primissima fila la battaglia della medicina (e quindi della farmacologia) di genere.
L’agile questionario “somministrato” dalla Fofi, che richiede davvero pochi minuti per essere compilato, è disponibile a questo link.
