Novartis, utili e fatturato in calo nel 2022, anche il Ceo ha guadagnato di meno…

Novartis, utili e fatturato in calo nel 2022, anche il Ceo ha guadagnato di meno…

Roma, 3 febbraio – Non è stato davvero un buon anno, il 2022, per la multinazionale svizzera del farmaco Novartis, che ha registrato un calo di utili, anche per l’incidenza negativa sui conti – secondo i dati comunicati dallo stesso gruppo farmaceutico – degli effetti valutari. Ma si guarda comunque con ragionevole ottimismo all’anno appena cominciato: nel 2023 la dirigenza punta a una crescita a singola cifra medio-bassa per le vendite, mentre l’utile operativo core dovrebbe salire di un valore vicino al 5%. Le previsioni del fatturato Innovative Medicines sono di una crescita a singola cifra medio-bassa, mentre quelle relative all’utile operativo core sono di una crescita a singola cifra medio-alta.

Negli ultimi tre mesi del 2022, informa il gruppo di Basilea, le vendite si sono attestate a 12,7 miliardi di dollari, in flessione del 4% (+3% a tassi di cambio costanti) rispetto allo stesso periodo del 2021. Tuttavia, la redditività ha seguito una curva inversa e gli azionisti possono aspettarsi un dividendo 2022 di 3,20 franchi, in aumento rispetto ai 3,10 franchi del 2021. Nel quarto trimestre l’utile operativo è sceso del 24% a 1,9 miliardi di dollari (-14% a cambi costanti), mentre il risultato netto si è attestato a 1,5 miliardi, -91% rispetto ai 16,3 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente, quando la vendita della partecipazione in Roche aveva portato a un aumento degli utili. L’utile netto di base (escluse voci eccezionali) è invece salito del 4% a 3,3 miliardi (+14% a cambi costanti).

Il fatturato annuo è sceso del 2% a 50,5 miliardi di dollari, mentre a tassi di cambio costanti le vendite hanno segnato un +4%, in linea con le previsioni del management. L’utile netto annuo è diminuito a quasi 7 miliardi dai 24 miliardi del 2021 (-71%), mentre l’utile netto core si attesta a 13,4 miliardi (-5%, +3% a cambi costanti). L’utile operativo è sceso a 9,2 miliardi (-21%, -13% a cambi costanti).

BSR Conference 2018 | Vasant Narasimhan | Speakers“Novartis è sulla buona strada per diventare un’azienda focalizzata esclusivamente sui farmaci innovativi, in una posizione unica per trarre vantaggio dalla sua presenza globale e dalle sue piattaforme di ricerca e sviluppo” afferma Vasant “Vas” Narasimhan,  Ceo della multinazionale elvetica (nella foto). “Ci aspettiamo di continuare a migliorare i nostri risultati finanziari e a rafforzare i fondamentali Esg”, ossia i principi ambientali, sociali e di buon governo d’impresa. “Ci sforziamo di diventare l’azienda farmaceutica più affidabile e apprezzata al mondo”.

Nel 2022 Narasimhan – in linea con la performance del gruppo –  ha guadagnato nettamente meno rispetto al 2021: il suo compenso è ammontato a 8,5 milioni di franchi svizzeri, in calo rispetto agli 11,2 milioni dell’anno precedente. Mentre lo stipendio base del 46enne Ceo della grande azienda svizzera è rimasto stabile a 1,8 milioni, i versamenti effettuati da Novartis nell’ambito dei piani di remunerazione variabile a lungo termine sono risultati sensibilmente ridotti, almeno secondo quanto emerge dai dati pubblicati a margine dei risultati finanziari. Ma, come dire?, già lo stipendio-base di Narasimhan è un bel prendere, se si considera che il franco elvetico ha un valore nominale che coincide con quello dell’euro: 150mila euro al mese,  già da soli (senza cioè contare gli altri 6,7 milioni circa percepiti lo scorso anno dal  Ceo Novartis) non sono davvero uno stipendio disprezzabile.

Il paragone potrà anche avere poco senso,  ma serve a capire come nel settore del farmaco a lucrare grandi profitti e guadagni non sono davvero i peones della filiera (absit iniuria verbis, la definizione ha funzione meramente descrittiva delle abissali differenze esistenti) : un farmacista titolare di farmacia, secondo le stime di trend-online.com (che usiamo per comodità come ‘soggetto terzo’) “mette insieme” in media una cifra intorno ai  6000 euro al mese, che possono in qualche caso arrivare a 10000 o giù di lì, mentre un farmacista collaboratore, sempre secondo le rilevazioni del sito specializzato, percepisce da un minimo di 1.200 euro a un massimo di 2.450 euro netti mensili.

Anche a voler considerare tutte le differenze di ruolo, di responsabilità, di competenza, di rischio imprenditoriale eccetera eccetera, lo scarto con gli emolumenti del Ceo Novartis (e di moltissimi altri suoi colleghi di altre aziende) è fantasmagorico e autorizza a pensare che qualcosa, in termini di redistribuzione delle ricchezze generate dal bene farmaco, andrebbe probabilmente riconsiderata. E pazienza se dirlo in modo così elementare e banale ci guadagnerà una valanga di accuse scontate, a partire da quella di alimentare un luogo comune (?), per giunta con povertà argomentativa, ignorando tutti i meriti dell’industria farmacogena, primo tra tutti quello di essere la protagonista delle ricerche che poi portano alla messa a punto di medicinali che salvano la vita delle persone e le guariscono.

Saremo anime semplici, ma c’è una misura in tutte le cose, e nella filiera del farmaco questa misura – è solo la nostra modesta opinione, si badi – sembra essere da sempre fuori da ogni scala, soprattutto se si considera che anche ad aziende come Novartis (della quale non saremmo certamente noi a disconoscere gli straordinari successi e meriti) capita poi di finire implicate in scontri titanici con le autorità antitrust per comportamenti sul mercato ritenuti poco commendevoli (ancora tutti da dimostrare, almeno nell’ultimo caso verificatosi negli USA: ma è difficile pensare che l’antitrust  di quel Paese – dove le regole del mercato sono sacre – si muova a caso e chieda a Novartis qualcosa come 245 milioni di dollari per aver cercato di ritardare la vendita sul mercato statunitense di prodotti generici di un suo farmaco contro l’ipertensione, Exforge).

Nessuno, in Italia, ha dimenticato la sanzione di 90 milioni di euro ciascuna comminata nel 2014 dalla nostra Agcm alla stessa Novartis e a Roche “per aver posto in essere un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza volta ad ottenere una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis, manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico di Avastin“. 

I lettori di buona memoria del nostro giornale (che quella vicenda seguì passo dopo passo) ricorderanno che, in ragione degli agguerriti ricorsi delle due aziende, il contenzioso finì anche davanti alla Corte di giustizia europea, che nel 2018 riconoscendo che “l’intesa tra i gruppi farmaceutici Roche e Novartis volta a ridurre l’utilizzo in ambito oftalmico del medicinale Avastin e a incrementare quello del Lucentis potrebbe costituire una restrizione della concorrenza «per oggetto»”, rimandò la questione al nostro Consiglio di Stato. E questo – è ormai storia – chiuse lo scontro giuridico confermando le sanzioni a Novartis e Roche per restrizione della concorrenza.

Ma non si tratta di ragionare sulle virtù o i vizi di questo o quello, solo (lo ripetiamo) di ragionare su una parola – redistribuzione delle ricchezze – che peraltro non riguarda certamente solo il settore del farmaco ma l’economia in generale e della quale (anche questa è solo una nostra modesta opinione) si chiacchiera e parla moltissimo. Lo fanno premi Nobel per l’economia, che con il fior fiore di studiosi delle più titolate università  del mondo concordano sull’individuazione di quella che è, in modo e misura preponderanti,  la vera causa della crisi mondiale: il meccanismo di concentrazione della ricchezza in poche mani, sempre meno numerose e sempre più ricche, senza che alcuna contromisura venga presa al riguardo.

Ne parla abbastanza spesso, con parole più semplici ma infinitamente più chiare e incisive (se solo ci si prendesse la briga di ascoltarlo) Papa Bergoglio, che – tanto per chiarire e scoraggiare sul nascere comode letture pregiudiziali di queste piccolissime considerazioni – non risulta essere affiliato a un qualche sodalizio di comunistacci. Ma evidentemente, i proverbi qualche volta ci azzeccano, non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere né peggior sordo di chi non vuol sentire.

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