Covid, studio collega molnupiravir a nuove mutazioni del virus, Merck nega

Covid, studio collega molnupiravir a nuove mutazioni del virus, Merck nega

Roma, 6 febbraio – L’uso dell’antivirale molnupiravir potrebbe causare la diffusione di nuovi ceppi di Sars CoV 2. L’inquietante e paradossale ipotesi scaturisce dallo studio di un team di ricercatori britannici e americani (tra i quali Thomas Peacock del Dipartimeno Malattie infettive dell’Imperial College di Londra), pubblicato a fine gennaio su medRxiv in pre-print e  quindi non ancora sottoposto a revisione paritaria, studio del quale ha poi riferito  Bloomberg.

Il medicinale sviluppato da Merck, commercializzato col nome Lagevrio, è stato associato ad alcune mutazioni del coronavirus, che i pazienti curati con molnupiravir hanno trasmesso anche ad altre persone.

Il  fenomeno non è in ogni caso inedito: già nel dicembre 2021 il Financial Times riportò l’ipotesi di una parte della comunità scientifica secondo cui l’antivirale di Merck avrebbe avuto un ruolo nella comparsa del ceppo sudafricano (peraltro, il farmaco della Merck è stato sperimentato proprio in Sudafrica). E anche  da Harvard William Haseltine affermò in quello stesso periodo che “in determinate circostanze“, molnupiravir poteva generare delle varianti. Le ragioni del  fenomeno sarebbero riconducibili al meccanismo di azione del medicinale:  il farmaco, infatti, induce delle mutazioni nel genoma del Covid affinché si autodistrugga. In alcuni casi, però, gli individui trattati con il medicinale non eliminano del tutto il microrganismo, rendendosi così loro malgrado vettori di varianti ignote.

I ricercatori hanno tracciato ramificazioni filogenetiche del Sars CoV 2, riscontrando che compariva solo nelle sequenze isolate nel 2022, quindi dopo l’introduzione di questa terapia, in Stati e fasce d’età in cui si era fatto largo uso del medicinale, come Australia, America e Regno Unito, e non in Paeso dove la variante era più rara, come Canada e Francia che non avevano neppure dato il via libera all’antivirale. Negli Stati Uniti, in particolare, i ceppi mutati risultavano identificabili negli anziani, la fascia a cui veniva raccomandato l’antivirale Lagevrio. Jonathan Li, esperto di virus ad Harvard e Boston, ha dichiaato a Bloomberg che “c’è sempre stata questa preoccupazione di fondo che [molnupiravir, Ndr] potesse contribuire al problema, generando nuove varianti“.

Lo studio alimenta questi dubbi (che si vanno ad aggiungere a quelli sull’efficacia), che aumentano se si tiene conto che almeno fino alla fine di marzo la Cina ha deciso di puntare su questo farmaco. Non ci sono in ogni caso conferme sul legame tra l’ondata vissuta dal Dragone e il molnupiravir. Merck, comprensibilmente, nega tutto: il portavoce Robert Josephson ha dichiarato che “non ci sono prove che un qualche agente antivirale abbia favorito l’emersione delle varianti in circolazione” e che i test sugli animali non hanno riscontrato tali rischi, anzi Lagevriofunziona molto bene.

 

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