Donini: “Governo-Regioni, bene confronto su sanità. Ora subito 5 mld per quadrare i conti”

Donini: “Governo-Regioni, bene confronto su sanità. Ora subito 5 mld per quadrare i conti”

Roma, 10 marzo – “Il sistema sanitario pubblico in Italia è a rischio”. A sostenerlo è Raffaele Donini, assessore della Regione Emilia-Romagna e coordinatore della Commissione Sanità della Conferenza delle Regioni (nella foto). A giudizio dell’assessore, mancano almeno 5 miliardi per far quadrare i conti.

Pur ringraziando il Governo per la disponibilità e la collaborazione mostrata nel corso dell’incontro di due giorni fa sui temi della sanità con i ministri Giancarlo Giorgetti e Orazio Schillaci , nel corso del quale  sono state affrontate le questioni più urgenti ed è stata  condivisa la necessità di istituire dei tavoli tecnici sui principali problemi del settore evidenziati, dalla carenza di personale alle criticità dei pronto soccorso e per gli interventi finanziari necessari alla programmazione sanitaria, le Regioni non possono permettersi il lusso di fare sconti al Governo: per la sanità servono più soldi, se non si vuol far saltare il sistema. E servono subito, in particolare quelli per contrastare la drammatica carenza di personale.

Fuori dalle narrazioni in favore di telecamere e microfono degli esponenti di governo sui 7 miliardi di ulteriore finanziamento per il Fsn, che  in realtà vanno appena a coprire i maggiori costi prodotti da inflazione e caro energia, i nodi (e la verità) arrivano al pettine e le Regioni, che sono poi quelle che devono erogare le prestazioni, hanno deciso di mettere da parte i salamelecchi e le cortesi istituzionali per dire come stanno le cose:  non ci sono abbastanza soldi per la sanità,  e c’è il rischio che non si possano più assistere le fasce più deboli. Se il rapporto spesa sanitaria/Pil dovesse rimanere al 6% anche nei prossimi anni, bisognerà dire ai cittadini che non si possono più aspettare dal Ssn quello che hanno avuto finora.

I raffronti con i sistemi sanitari di altri Paesi europei sono del resto tanto impietosi quanto eloquenti: per avere un servizio sanitario come quello del Regno Unito bisognerebbe destinare alla sanità 20 miliardi in più all’anno. Per eguagliare i livelli di quello tedesco di miliardi ne servirebbero 40 in più all’anno. In Italia, l’aumento della spesa sanitaria stabilito dalla legge di bilancio di quest’anno, al netto delle somme destinate a far fronte ai maggiori costi dovuti all’emergenza economica, è stato di soli 2 miliardi. Insomma, non ci sono risorse sufficienti, e non si tratta di un’opinione: da qui l’allarme delle Regioni e la decisione, condivisa con i ministri Schillaci e Giorgetti, di aprire un tavolo che stabilisca che cosa fare per evitare l’interruzione dei servizi.
Le Regioni hanno chiesto “di rendere esigibile il principio secondo il quale nessuna Regione debba sottoporsi a Piani di rientro o di riduzione dei servizi o aumento della fiscalità generale a causa del mancato riconoscimento dell’attuale criticità finanziaria dovuta ai costi riguardante l’emergenza pandemica ed energetica. In caso contrario ne andrebbe progressivamente e irrimediabilmente compromesso il sistema sanitario universalistico italiano”.

Ma, senza iniezioni di altri soldi, il problema resta: le risorse disponibili non sono sufficienti per calare nella realtà il principio universalistico che stabilisce che tutti hanno il diritto alle cure dello Stato. Principio sacrosanto e a un tempo conquista straordinaria, che per essere mantenuta deve però essere supportata da adeguate risorse. Altrimenti diventa una semplice dichiarazione d’intenti impossibile da mettere in pratica. Se non ci sono abbastanza risorse, dunque, anziché intonare le solite tiritere del “è colpa di quelli che c’erano prima”  e del “mai messi tanti soldi in sanità come quest’anno”, bisognerebbe avere il minimo di decenza, responsabilità e coraggio di dire ai cittadini che, appunto, il salvadanaio è vuoto. È tempo di smetterla, in altre parole, di  fare finta di niente, giocare allo scaricabarile e continuare a confidare nello Stellone italico, che peraltro ha smesso di brillare da un pezzo.  Si abbia il coraggio della verità e della chiarezza e si prendano le decisioni che servono. Che, nel caso di specie, sono poche e obbligate: o si recuperano risorse drenandole da altre voci di spesa pubblica, oppure si cerca di rispettare comunque il diritto universale alle cure facendo scelte (dolorose) per modularlo in base alle risorse disponibili, introducendo ad esempio sistema di franchigie.

“Il tavolo che il Governo ha proposto ha una portata storica: può o ridare centralità oppure far naufragare il sistema della sanità pubblica per come lo conosciamo oggi” chiosa Donini. Senza esplicitare che “ridare centralità”, tradotto dalla prosa imposta dagli equilibrismi dell’interlocuzione tra istituzioni, significa assegnare alla sanità pubblica tutte le risorse di cui ha bisogno. La domanda è se il governo vorrà e potrà farlo, e se il sistema Paese può permettersi che non lo faccia. La risposta delle Regioni ha quest’ultima domanda è no: il contrasto all’emergenza pandemica e ora l’esplosione delle spese causate dalla crisi economica ed energetica hanno irrimediabilmente impoverito le risorse regionali. Serve aiuto, e serve subito. O, almeno per la sanità (già boccheggiante), sarà il naufragio.

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