Roma, 6 giugno – “Chiuderemo la riforma dell’Aifa entro l’estate o subito dopo. Non è vero che prima c’erano pesi e contrappesi, perché comunque il ministero della Salute aveva già le nomine più importanti. E non dimentichiamo che è stata proprio la presenza di un direttore e un presidente, che non andavano d’accordo, a paralizzare l’agenzia negli ultimi due anni. Della nuova Commissione unica che approverà i farmaci dovranno far parte i migliori tecnici del settore”.
Queste le dichiarazioni rese dal ministro della Salute Orazio Schillaci (nella foto) in un’intervista al quotidiano la Repubblica nel corso della quale ha toccato altri punti nevralgici della sanità italiana. Su tutti, le liste d’attesa, che l’inquilino di Lungotevere Ripa ritiene il primo problema del nostro sistema sanitario pubblico.
“Vorrei ridurle” ha detto il ministro. “Per farlo servono sì anche soldi ma ci vuole soprattutto un cambiamento culturale. Bisogna lavorare sull’appropriatezza, c’è molta medicina difensiva che porta anche a prescrizioni che non servono. Alle persone vanno fatti gli accertamenti realmente utili. I cittadini devono sempre rivolgersi al medico, non farsi autoprescrizioni. Se si ha mal di schiena non bisogna fare subito la risonanza magnetica, prima è meglio parlare con il dottore. Sugli accessi al pronto soccorso e la specialistica l’inappropriatezza rappresenta almeno un terzo delle prestazioni”.
Altra questione spinosa, quella della carenza del personale sanitario, a partire dagli infermieri: “Gli infermieri mancano in tutta Europa” ha detto il ministro. “Per questo stiamo pensando ad accordi con Paesi extraeuropei, che potrebbero metterci a disposizione professionisti già ben formati, dal punto di vista sanitario e della conoscenza della nostra lingua. Penso ad esempio all’India. Ha già chiuso protocolli con il Giappone e gli Usa. Hanno una scuola infermieristica di alta qualità e ovviamente tantissimi abitanti”.
Secondo Schillaci, una delle strade per salvare il sistema sanitario pubblico è quella di “pagare meglio i professionisti e rivalutarlo. La qualità della nostra sanità è ottima, come quella della formazione. E quando si va in ospedale si viene curati bene, questo è indubbio”. A giudizio del titolare della sanità, la fase di definanziamento frutto di una politica di tagli lineari protrattisi per anni “si può ritenere definitivamente conclusa”, affermazione supportata dalla rivendicazione dell’aumento delle risorse che l’attuale governo ha destinato alla sanità, ovvero (secondo Schillaci) 7,5 miliardi in più rispetto al passato per il triennio 2023-2026. Proprio le politiche dei colpi di forbice hanno determinato le gravi criticità che si sono poi cronicizzate negli anni, ha detto il ministro, e che non hanno permesso di garantire un recupero dell’appropriatezza dei servizi e delle prestazioni del sistema.
Una versione che, come è ben noto, non convince gran parte del “popolo della sanità” e degli esperti di settore: valgano per tutti le analisi della Fondazione Gimbe sul Documento di economia e finanza (Def) 2023, nella parte dedicata appunto alle risorse destinate alla sanità. Secondo le analisi Gimbe sulle previsioni di spesa sanitaria per l’anno 2023 e per il triennio 2024-2026, il rapporto spesa sanitaria/Pil nel 2023 scende di fatto al 6,7% rispetto al 6,9% del 2022, anche se in termini assoluti la previsione di spesa sanitaria è di 136.043 milioni di euro, ovvero 4.319 milioni in più rispetto al 2022 (+3,8%). “Il roboante incremento di oltre quattro miliardi di euro nel 2023 è solo apparente” sostiene Gimbe “sia perché oltre due terzi (67%) costituiscono un mero spostamento al 2023 della spesa sanitaria prevista nel 2022 per il rinnovo contrattuale del personale dirigente, sia per l’erosione del potere di acquisto visto che secondo l’Istat a oggi l’inflazione acquisita per il 2023 si attesta a +5%, un valore superiore all’aumento della spesa sanitaria che, invece, si ferma a +3,8%”.
I numeri, insomma (e non è davvero una novità, nel nostro Paese) vengono usati confidando sul fatto che l’opinione pubblica non possiede le conoscenze necessarie per metterli in discussione e – nel caso lo facciano altri, ad esempio i partiti dell’opposizione o le sigle delle centinaia di miglia di professionisti e dipendenti del Ssn – la si butta subito sulla zuffa politico-ideologica, che ovviamente tutto fa fuorché aiutare a capire. Un’utile bussa per tracciare il punto rotta e comprendere dove sta andando la sanità italiana può essere un valore che la dice molto sul valore e la considerazione veri che la classe dirigente del Paese, (quella di oggi così come quella di ieri) attribuisce al servizio sanitario pubblico: l’incidenza della spesa sanitaria pubblica sul Pil. Una recentissima analisi di Mediobanca ci dice che il nostro Paese, con il suo 7,3% sul Pil nel 2020, si posiziona in Europa dietro a Spagna (7,8%), Regno Unito (9,9%), Francia (10,3%) e Germania (10,9%). Un dato eloquente e più che sufficiente a dimostrare che quel che dicono i professionisti della sanità pubblica è vero: il Ssn in Italia è sottofinanziato, e nemmeno di poco, al netto di tutte le chiacchiere e di tutti i numeri che possono essere diffusi.
Tornando all’intervista di Schillaci a la Repubblica, il ministro ha riservato una battuta anche al Pnrr: “Vorrei dare più soldi al personale ma la filosofia del Pnrr è quella di investire sulle strutture”.