Roma, 21 luglio – Sembra proprio non riuscire a decollare, in Italia, la buona abitudine di proteggersi dall’influenza con il vaccino. Secondo gli ultimi dati resi noti dal ministero della Salute e relativi all’ultima stagione, si registra anzi una diminuzione, in particolare tra gli over 65, del numero dei cittadini che si sono sottoposti alla vaccinazione anti-influenzale. Si registra, è vero, una sostanziale stabilità del dato di copertura generale della popolazione (che nel 2o22-23 è stato del 20,5%, contro il 20,6% della stagione precedente), ma prosegue il trend negativo iniziato dopo il 2020-21, anno in cui – complice ovviamente lo spauracchio Covid – le vaccinazioni antiflu nella popolazione generale avevano toccato la soglia record del 23,7%. Da allora a oggi, si è perso per strada un 3% abbondante di cittadin.
Ancora più marcato il calo tra gli over 65, uno dei target d’elezione del vaccino antiflu: i livelli della ormai lontana stagione 2014-15, quando si vaccinarono contro la malattia invernale per antonomasia il 65,6% di ultrasessantacinquenni, sono ormai molto distanti. Nell’ultima stagione, infatti, si sono vaccinati solo il 56,7% di over 65 (conto il 58,1% della stagione precedente) ed è quindi ulteriormente aumentata la distanza abissale dall’obiettivo minimo (75%) di copertura vaccinale antiflu indicato dall’Oms per i gruppi target. E si tace, per pudore, della distanza interplanetaria che ci separa dalla soglia otimale raccomandata dall’agenzia sanitaria dell’Onu, fissata al 95%.
Atteso che, come tutte le malattie infettive, l’influenza è una di quelle che al Sistema Paese costa molto di più curare che non prevenire, è evidente che lo scarso appeal della protezione vaccinale anti-influenzale affonda le sue radici (anche) in ragioni che poco hanno a che fare con le considerazioni sanitarie ed economiche e, probabilmente, anche con il buon senso. Ed è ancora più evidente che l’impresa di affermare in Italia una cultura dell’immunizzazione nei confronti di malattie come l’influenza richiede un approccio globale, dal momento che le strategie per prevenirle e controllarle non possono essere poste in atto senza prima abbattere le barriere ideologiche e politiche e gli ostacoli economici e culturali che ancora fanno guardare con sospetto alle vaccinazioni troppi cittadini, nonostante esse rappresentino uno straordinario intervento di sanità pubblica.
Molto, al riguardo, possono fare gli operatori sanitari (in particolare i professionisti di sanità pubblica del territorio, medici, farmacisti e pediatri) e non si può disconoscere che soprattutto negli ultimi anni, il loro impegno non è mancato (come testimonia, in particolare, il percorso evolutivo dei farmacisti, capace di assicurare un considerevole contributo alla campagna vaccinale anti-Covid, ma attivi anche nelle ). Ma ovviamente è necessario che a impegnarsi debbano essere l’intera comunità scientifica, le istituzioni e i decisori pubblici, ciascuno per e con le proprie competenze e responsabilità: favorire il corretto utilizzo dei vaccini e salvaguardare l’indiscusso valore sociale delle vaccinazioni, patrimonio di tutti i cittadini, indipendentemente dallo stato sociale e dal luogo di residenza – per banale che sia il ripeterlo – è una delle vie maestre per una sanità pubblica che si preoccupi della necessaria sostenibilità del sistema e guardi alla salute dei cittadini prima ancora che alle loro malattie.