Roma, 25 luglio – Un nuovo vaccino a mRna mirato alle cellule immunitarie nel fegato, potrebbe essere la chiave per affrontare la malaria, malattia che secondo le stime dell’Oms causa oltre mezzo milione di morti l’anno. Lo studio è pubblicato su Nature Immunology ed è stato condotto da ricercatori del Ferrier Research Institute (Te Herenga Waka – Victoria University of Wellington) e del Malaghan Institute of Medical Research in Nuova Zelanda, e del Peter Doherty Institute for Infection and Immunity in Australia. Gli scienziati dei due Paesi “Down Under” hanno sviluppato un vaccino a mRna (la tecnologia utilizzata per il vaccino anti Covid e ormai nota a livello planetario) che può colpire efficacemente e stimolare le risposte protettive delle cellule immunitarie contro il plasmodium, il parassita che causa la malaria, nei modelli preclinici.
Il team, spiega Gavin Painter del Ferrier Research Institute (nella foto), si è avvalso le ricerche precedenti condotte per anni dai professori Bill Heath e Ian Hermans. “Grazie a questa sinergia, siamo stati in grado di progettare e convalidare un esempio di vaccino a mRna che funziona generando cellule di memoria residenti nel fegato in un modello di malaria” spiega Painter, evidenziando “l’enorme potenziale della tecnologia Rna nel risolvere alcuni dei maggiori problemi di salute”. L’obiettivo della ricerca era originariamente sui vaccini a base di peptidi. Nel 2018 il team cambia approccio. “I vaccini a mRna codificano un’intera proteina della malaria” invece di piccoli frammenti, precisa Lauren Holz dell’università di Melbourne, ricercatrice presso il Doherty Institute e coautrice dello studio. “Questo è un vero punto di forza, perché significa che possiamo generare una risposta immunitaria più ampia e, si spera, più protettiva”.
Il vaccino a mRna è stato combinato anche con un adiuvante, che prende di mira e stimola le cellule immunitarie specifiche del fegato. Questo ingrediente aggiuntivo aiuta a localizzare la risposta del vaccino nel fegato, un sito chiave per impedire al parassita di svilupparsi e maturare nell’organismo.
“Quando il parassita entra per la prima volta nel flusso sanguigno, viaggia verso il fegato dove si sviluppa e matura prima di infettare le cellule del sangue, che è il momento in cui si manifestano i sintomi della malattia” chiarisce Mitch Ganley, ricercatore del Ferrier Research Institute e coautore dello studio (nella foto a destra). “A differenza del vaccino Covid, che funziona con anticorpi neutralizzanti, il nostro approccio unico si basa sulle cellule T che svolgono un ruolo fondamentale nell’immunità. Nello specifico, si parla del linfocita T della memoria residente nei tessuti, che arresta l’infezione della malaria nel fegato per arrestare completamente la diffusione dell’infezione”.
Un problema dei vaccini sperimentati contro la malaria è che funzionano bene nei modelli animali e poi quando vengono somministrati a chi non ha mai avuto la malattia non funzionano bene, in aree dove la malattia è endemica. Il nuovo vaccino testato dal team invece risulta “ancora in grado di generare cellule immunitarie specifiche del fegato e fornire protezione anche quando i modelli animali sono stati pre-esposti alla malattia”, fa notare Holz.
Il team oceanico proseguirà ora le sue ricerche, con l’obiettivo di portare il vaccino agli studi clinici sull’uomo, per arrivare ai quali, prevedono, serviranno diversi anni.