Roma, 15 settembre – La narrazione delle case di comunità da parte della stampa di informazione? Decisamente inadeguata e anche fuorviante, visto che questo nuovo presidio di salute viene presentato per quel che non è nato per essere, ovvero una sorta di piccolo ospedale e la domanda prevalente che avanzano i giornalisti è: Ma se non hanno dentro i medici e gli infermieri, a che servono?
La bacchettata all’indirizzo dei professionisti dell’informazione è arrivata da Barbara Mangiacavalli (nella foto), presidente della Federazione degli Ordini degli infermieri (Fnopi), in occasione della seconda edizione degli Stati Generali della comunicazione per la Salute, che si sono conclusi ieri a Roma.
”Ovvio che la Casa di comunità, una ogni 50mila abitanti, da sola non garantisce la prossimità (e in ogni caso nemmeno esaurisce, NdR)” ha detto Mangiacavalli. “La garantisce se è in rete ed è un nodo della rete di tutto quello che c’è sul territorio: gli studi dei medici di medicina generale se sono fuori la casa di comunità, i pediatri, le farmacie comunali e private, gli specialisti ambulatoriali, tutta la rete privata accreditata, tutta la rete socio assistenziale, tutta la rete dei comuni e del Terzo settore. È così che la Casa di comunità garantisce prossimità”.
”Per quanto riguarda la nostra professione” ha aggiunto la presidente Fnopi “noi abbiamo compreso, non condiviso, la retorica degli eroi. Quello che hanno fatto gli infermieri e tutti gli altri professionisti sanitari lo hanno sempre fatto prima e stanno continuando a farlo adesso. E mi viene da dire che lo stanno facendo alle stesse condizioni critiche”.
”I giovani scelgono la professione infermieristica, magari in misura minore” ha quindi osservato Mangiacavalli. “Il problema è che poi c’è una disaffezione rispetto alle condizioni di esercizio quotidiano e rispetto al fatto che un giovane sa che è una professione che stenta ancora a decollare come riconoscimento della competenza, dell’autonomia, della responsabilità e quindi, conseguentemente, di uno sviluppo di carriera non tanto sulla parte gestionale e organizzativa, quanto su un esercizio di competenze specialistiche che i nostri giovani colleghi hanno”.
”La riprova” ha voluto ribadire la presidente della federazione professionale degli infermieri “è che noi abbiamo i laureati del terzo anno che vengono cercati dai Paesi che, insieme a noi, soffrono una carenza professionale importante. A questi colleghi stanno offrendo uno stipendio settimanale di importo equivalente, se non più alto, di uno stipendio mensile italiano”.
”Abbiamo bisogno di tenere nel nostro Paese i professionisti formati in Italia” ha quindi concluso Mangiacavalli “perché ne stanno beneficiando altri Paesi. È come se regalassimo le nostre competenze e la nostra formazione all’estero, per poi accontentarci per i nostri concittadini di soluzioni tampone”.