Roma, 12 ottobre – Se è vero che la sanità pubblica, piena di problemi, non se la passa bene, non è meno vero che – senza un cambio deciso di rotta e una robusta iniezione di investimenti, dei quali non si colga alcuna avvisaglia all’orizzonte – se la passerà decisamente peggio. Perché, questa la diagnosi infausta che emerge dal 6° Rapporto sul Servizio sanitario nazionale della Fondazione Gimbe (qui il testo integrale), il nostro sistema di sanità pubblica è al capolinea ed è ormai compromesso il diritto (sancito costituzionalmente) alla tutela della salute.
In Italia, rileva il rapporto di Gimbe, la spesa sanitaria pubblica 2022 marca una netta differenza in negativo rispetto alla media dei Paesi europei dell’area Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico): il gap è di ben 829 euro pro-capite all’anno, un baratro che in termini assoluti significa 48,8 miliardi di euro, tenendo conto di una popolazione residente Istat al primo gennaio 2023 di oltre 58,8 milioni di abitanti: questa cinquantina di miliardi
Il problema non è ovviamente di oggi, spiega il report Gimbe snocciolando le cifre relative a scelte e decisioni del passato, impietosa testimonianza di come – a sottolinearlo è il presidente della Fondazione Nino Cartabellotta (nella foto) – “i governi abbiano utilizzato la spesa sanitaria come un bancomat, dirottando le risorse su altre priorità mirate a soddisfare il proprio elettorato. Considerando sempre la spesa sanitaria come un costo e mai come un investimento, e ignorando che la salute e il benessere della popolazione condizionano la crescita del Pil”.
“La spesa sanitaria totale (sistema Istat-Sha) per il 2022” si legge nel report “è pari a 171.867 milioni di euro, di cui 130.364 milioni di spesa pubblica (75,9%), 36.835 milioni di spesa out-of-pocket (21,4%) ovvero a carico delle famiglie, e 4.668 milioni di spesa intermediata da fondi sanitari e assicurazioni (2,7%)”. La spesa sanitaria pubblica italiana nel 2022 si attesta al 6,8% del Pil, sotto di 0,3 punti percentuali rispetto sia alla media Ocse (7,1%) sia alla media europea (7,1%). Come già anticipato, il gap con la media dei Paesi europei dell’area Ocse è di 873 dollari pro-capite (829 euro), che “sull’intera popolazione della Penisola” corrisponde a una differenza negativa di quasi 51,4 miliardi di dollari, pari a 48,8 miliardi di euro. Il progressivo aumento del gap della spesa sanitaria con la media dei Paesi europei, analizza Gimbe, “è perfettamente in linea con l’entità del definanziamento pubblico relativo al decennio 2010-2019, ma poi si è sorprendentemente ampliato nel triennio 2020-2022 durante l’emergenza pandemica”.
“Complessivamente – prosegue il rapporto – rispetto alla media dei Paesi europei, nel periodo 2010-2022 la spesa sanitaria pubblica italiana è stata inferiore di 363 miliardi di dollari (345 miliardi di euro). E per colmare il divario pro-capite con la media dei Paesi europei attestato nel 2022, al 2030 si stima un incremento totale di 122 miliardi di dollari (115,9 miliardi di euro), ovvero a partire dal 2023 un finanziamento costante di 15,25 miliardi di dollari, pari a 14,49 miliardi di euro per anno”. Si tratta di “cifre palesemente irraggiungibili per la nostra finanza pubblica”, rimarca Cartabellotta.
“Il fabbisogno sanitario nazionale (Fsn) dal 2010 al 2023 è aumentato complessivamente di 23,3 miliardi di euro: in media 1,94 miliardi per anno, ma con trend molti diversi tra il periodo pre-pandemico (2010-2019), pandemico (2020-2022) e post-pandemico (2023)”, continua il rapporto Gimbe. Tendenze su cui, sottolinea Cartabellotta, “è opportuno rifare chiarezza per documentare che tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno tagliato e/o non investito adeguatamente in sanità”.
Il periodo 2010-2019 è stato “la stagione dei tagli”. Alla sanità pubblica, secondo le analisi di Gimbe, sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro, di cui circa 25 miliardi nel 2010-2015, in conseguenza di tagli previsti da varie manovre finalizzate al risanamento della finanza pubblica e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del definanziamento che ha assegnato meno risorse al Ssn rispetto ai livelli programmati.
In 10 anni il Fsn è aumentato complessivamente di 8,2 miliardi di euro, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,15%). Negli anni 2020-2022, “la stagione della pandemia, il Fsn è aumentato complessivamente di 11,2 miliardi di euro, crescendo in media del 3,4% annuo. Tuttavia, questo netto rilancio del finanziamento pubblico – precisa Gimbe – è stato di fatto assorbito dai costi della pandemia Covid 19, non ha consentito rafforzamenti strutturali del Ssn ed è stato insufficiente a tenere in ordine i bilanci delle Regioni”.
Si arriva così al periodo 2023-2026, “il presente e il futuro prossimo”. L’ultima legge di Bilancio “ha incrementato il Fsn per gli anni 2023, 2024 e 2025 rispettivamente di 2.150 milioni, 2.300 milioni e 2.600 milioni di euro. Nel 2023 1.400 milioni sono stati destinati alla copertura dei maggiori costi energetici. Dal punto di vista previsionale, nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023, approvata lo scorso 27 settembre, il rapporto spesa sanitaria/Pil precipita dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026. In termini assoluti, nel triennio 2024-2026 si stima un incremento della spesa sanitaria di soli 4.238 milioni di euro (+1,1%)”.
Per Gimbe va anche rilevato che “nel 2022 e nel 2023 l’aumento percentuale del Fsn è stato inferiore a quello dell’inflazione: nel 2022 l’incremento del Fsn è stato del 2,9% a fronte di una inflazione dell’8,1%, mentre nel 2023 l’inflazione al 30 settembre acquisita dall’Istat è del 5,7% a fronte di un aumento del Fsn del 2,8%”.
Sarà anche vero che i numeri non esauriscono la verità, ma è pur vero che qualcosa la dicono. E il rapporto di Gimbe, purtroppo, racconta quella che gli inglesi chiamano una nightmare story.