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mercoledì 15 Gennaio 2025
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Aumento rischio scompenso cardiaco in età avanzata, studio italiano scopre l’interruttore

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Roma, 27 ottobre – Un team di ricercatori italiani  ha scoperto perché il rischio di “malattia del cuore stanco” aumenta con l’avanzare dell’età. A collegare l’invecchiamento con lo sviluppo di insufficienza e ipertrofia cardiaca, secondo quanto emerge da uno studio coordinato da Gianluigi Condorelli (nella foto), direttore del Cardio Center dell’Irccs Humanitas di Rozzano (Milano) e professore ordinario di Humanitas University, è “un cambio disfunzionale del metabolismo dell’organo, che lo lascia senza l’energia necessaria per pompare il sangue a pieno regime”.

La ricerca, condotta in collaborazione con Roberto Papait, professore associato all’università dell’Insubria, è stato pubblicato su Circulation Research, ma ne riferisce anche una nota dell’Irccs Humanitas pubblicata due giorni fa I ricercatori hanno identificato il meccanismo molecolare che alla lunga lascia il cuore senza ‘carburante’. E hanno dimostrato, per ora in laboratorio, che inibendolo si può migliorare la funzionalità del cuore.

Lo scompenso cardiaco è una patologia molto diffusa e invalidante: in Italia ci convivono 600mila persone, una ogni 10 sopra i 65 anni di età, e nei Paesi industrializzati la malattia rappresenta la principale causa di disabilità e di morte negli anziani. Sebbene esistano oggi diverse terapie in grado di rallentare la progressione dello scompenso cardiaco (Ace-inibitori, sartani, antialdosteronici, beta-bloccanti), la ricerca di nuove soluzioni terapeutiche più efficaci è una delle principali sfide in cardiologia, raccolta da Humanitas con diversi progetti e laboratori dedicati.

“Grazie agli studi condotti negli ultimi vent’anni” afferma Condorelli “si è progressivamente compreso che alla base dello scompenso cardiaco c’è un problema di energia: il cuore scompensato è un cuore che è rimasto senza carburante. Questo è ancora più rilevante se si pensa che il cuore è uno degli organi più energivori dell’organismo, insieme al cervello e ai muscoli. Per contrarsi in media 60 volte al minuto, irrorando di sangue ogni millimetro del nostro sistema vascolare, ha bisogno di tantissima energia”. Non a caso molti dei farmaci usati per il trattamento dello scompenso cardiaco permettono al cuore di risparmiare energia, utilizzando meglio le ‘riserve’ ridotte dalla malattia. Ma cosa toglie benzina al cuore? E perché il pericolo che ciò accada è maggiore durante l’invecchiamento? È a queste domande che ha provato a rispondere il nuovo studio.

La ricerca, spiega il team di Humanitas, ha individuato uno dei regolatori del bilancio energetico del cuore. Si chiama p300 ed è un cosiddetto potenziatore genico o co-attivatore trascrizionale che dir si voglia. I potenziatori genici sono dei regolatori del comportamento delle cellule, perché la loro presenza aumenta la probabilità che alcuni geni vengano attivati. Lo studio indica che p300, la cui attività si intensifica durante l’invecchiamento, altera il metabolismo delle cellule del cuore simulando una condizione di ridotto apporto di ossigeno e spostando il fabbisogno energetico cellulare sul consumo degli zuccheri: una fonte meno efficiente, che lascia il cuore senza l’energia di cui ha bisogno, contribuendo all’insorgere dello scompenso cardiaco.

Per verificare questa ipotesi, gli scienziati hanno provato a “spegnere” p300 tramite un inibitore e hanno ottenuto un parziale recupero della funzionalità cardiaca. Sebbene si tratti di un test limitato per ora ai modelli di laboratorio della malattia, precisano i ricercatori, “i risultati ottenuti aprono nuove strade per la ricerca sul trattamento dello scompenso cardiaco”.

“Sebbene l’invecchiamento costituisca la causa primaria di scompenso cardiaco”  aggiunge a sua volta Papait, coordinatore  dello studio insieme a Condorelli  “la spiegazione di questo legame ha eluso a lungo medici e ricercatori. Oggi conosciamo un tassello in più di questo puzzle complesso: invecchiando, le cellule del cuore modificano il proprio metabolismo energetico in modo svantaggioso. Questo è il primo passo per sviluppare nuove terapie che riducano il rischio di scompenso cardiaco in anzianità”.

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