Roma, 6 novembre – La paura che per la professione farmaceutica esercitata nelle farmacie di comunità si prospetti una sorta di “inverno demografico” prossimo venturo è probabilmente eccessiva, ma è certo che la sempre minore attrazione che questa carriera esercita su chi è già laureato in farmacia, con le conseguenti crescenti difficoltà delle farmacie a trovare personale laureato per assicurare il servizio, desta molte e fondate preoccupazioni. A partire dalla stessa Fofi, che nello scorso mese di giugno ha costituito un tavolo tecnico finalizzato ad approfondire il tema delle difficoltà di reperimento di farmacisti in ambito nazionale, coinvolgendo le principali organizzazioni di categoria ed esponenti del mondo accademico, alla luce del fatto che la minore capacità attrattiva della professione di farmacista si riflette anche sulle iscrizioni alle facoltà di farmacia, in calo significativo.
Comprensibile, dunque, che il tema tenga banco da tempo nel dibattito di categoria, come ha evidenziato anche il recente congresso FarmacistaPiù, dove il fenomeno della fuga della professione è stato al centro, in particolare, di un convegno di Conasfa, associazione nazionale professionale dei farmacisti non titolari non nuova ad approfondimenti su questa particolare criticità.
Proprio Conasfa, infatti, nel dicembre 2022 aveva condotto una prima survey, su un campione di 200 farmacisti, dalla quale era risultato che quasi tre farmacisti collaboratori su quattro, potendo, cambierebbe lavoro e solo uno su due pensa che il proprio lavoro sia fonte di realizzazione personale. Addirittura sei farmacisti su 10, poi, avevano affermato di non ritenere il proprio lavoro portatore di prestigio sociale. Il tutto accompagnato da considerazioni ancora più specifiche e certo non meno critiche: per il 70 % dei farmacisti del campione in farmacia manca un percorso di sviluppo professionale delineato e non vi è possibilità di fare carriera in base al merito, mentre il 60% non ritiene che vi sia la capacità di sviluppare le proprie attitudini in base al ruolo. In più solo un farmacista su due conosce le strategie aziendali e si sente coinvolto nel definire obiettivi e risultati della farmacia dove lavora.
Partendo dalle gravi criticità emerse da quella prima survey, Conasfa ha voluto andare più a fondo nella questione, promuovendo una nuova indagine “per indagare un più corposo nucleo di tematiche e cercare di individuare le ragioni del fenomeno e formulare ipotesi e proposte finalizzate a contrastarlo”, come spiegato dalla presidente dell’associazione Angela Noferi (nella foto). E così, in collaborazione con AltraPsicologia, associazione nazionale di psicologi, ha avviato a inizio estate 2023 una nuova e più strutturata indagine per analizzare e comprendere il livello di benessere dei farmacisti non titolari nell’ambiente lavorativo. Attraverso un centinaio di domande, la nuova rilevazione ha indagato 14 aree della sfera professionale, tra le quali la formazione, la remunerazione, il rapporto con i titolari, il riconoscimento professionale, la digitalizzazione e via proseguendo.
Alta la partecipazione alla survey, più di 2000 farmacisti distribuiti in tutte le Regioni del Paese, con una netta prevalenza di collaboratori di farmacia privata (77%, contro il 9,2% di dipendenti di farmacie comunali e il 10,4% di farmacisti di catene di farmacie). La fascia di età tra i 25 e i 45 anni è stata quella più disposta a partecipare al sondaggio.
A commentare i risultati delle prime analisi sui risultati della survey è Tommaso Ciulli, consigliere dell’Ordine degli Psicologi della Toscana (nella foto), che è partito – inevitabilmente – da ciò che maggiormente spinge i farmacisti collaboratori di uscire dalle farmacie o cambiare lavoro. La quasi totalità del campione indica l’inadeguatezza del trattamento economico che tuttavia, spiega Ciulli sulla base dei dati, “non è quello che incide di più. Al primo posto ci sono sviluppo professionale e formazione (24%), seguiti dall’equilibrio vita privata-lavoro (21,4%), dal riconoscimento del valore del lavoro (21,3%) e, con peso analogo, dagli aspetti psicologici e dagli aspetti economici e bonus (16,6%)».
Resta il fatto, sottolinea però Ciulli, “che proprio la sfera retributiva è quella in cui il tasso di soddisfazione è il più basso: si dichiara soddisfatto solo poco più del 5%. Qui si evidenzia, pertanto, un ampio margine di miglioramento”.
L’esperto fa anche notare fin da subito che esistono notevolissimi margini per migliorare la disaffezione dei collaboratori, evidenziando come la stessa criticità che pesa di più nella decisione di abbandonare la professione – ovvero la mancanza di sviluppo professionale e la formazione – è lamentata solo dal 24% dei 2000 rispondenti: dato che, letto allo specchio, significa che “c’è una porzione più ampia di farmacisti che non segnala particolari criticità”.
Un dato interessante, sempre a questo proposito, è quello che conferma la farmacia come ambito in cui si rileva una maggiore insoddisfazione (“risultando, al contempo quello che potenzialmente può presentare un più ampio spazio di miglioramento”, insiste Ciulli). Per contro, nelle farmacie private le cose vanno decisamente meglio in materia di bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa, soprattutto negli esercizi con un minor numero di dipendenti, dove – è la spiegazione dello psicologo – “sembra essere più agevole trovare moduli organizzativi più adattabili alle diverse situazioni“.
I dati indicano però (ed è il rovescio della medaglia) che in quelle stesse farmacie i livelli di burn out e di stress sono più elevati, “con una correlazione, in realtà, che sembra più che altro riguardare il numero di dipendenti” afferma Ciulli. “L’ipotesi è che la presenza di un maggior numero di dipendenti permetta di meglio distribuire il carico di lavoro, gestendo specifiche situazioni aziendali“.
La “fotografia” che emerge dalla prime analisi della survey, in ogni caso, “può essere utile per ipotizzare strategie di miglioramento, anche su misura per tipologia di farmacia”. Secondo Ciulli, l’analisi del fabbisogno formativo “potrebbe per esempio essere d’aiuto anche per fornire una formazione personalizzata, tagliata sulla singola farmacia, on demand, e relativa a tematiche che siano trasversali per la professione – per esempio principi di gestione dell’utenza, che spesso provoca un ulteriore carico di stress”.
Un’altra linea da prendere in considerazione potrebbe essere quella di “individuare spazi di crescita professionali orizzontali. In farmacie di piccole dimensioni, con pochi dipendenti, non è sempre facile individuare percorsi di crescita verticale, mentre proporre una crescita professionale che vada verso una maggiore specializzazione su determinati ambiti può essere, in determinati casi, una leva“.
Suggestioni sicuramente utili, che costituiranno certamente materiale prezioso per la messa a punto di strategie utili a contrastare la “fuga dalla professione” dei farmacisti, ma che certamente debbono essere preliminarmente accompagnate anche da scelte e decisioni più risolutive su quello che, nel bene e nel male, è uno degli snodi risolutivi del problema, ovvero il Ccnl delle farmacie private. Che anche nel suo ultimo rinnovo (settembre 2021) ha mancato di rispondere . almeno per quella che è la percezione dei farmacisti collaboratori – a tutte o quasi le loro aspettative.