Roma, 26 febbraio – Almeno due persone su dieci non sanno cosa sia l’Herpes zoster e una su due ammette di saperne poco. Eppure, quasi due su tre conoscono altri che ne hanno sofferto e il 12% l’ha addirittura avuto. Sono alcuni dei dati emersi da un sondaggio globale promosso da Gsk in occasione della Shingles awareness week, settimana internazionale di sensibilizzazione sull’Herpes zoster che inizia oggi e si concluderà il 3 marzo), una campagna condotta dall’azienda farmaceutica in collaborazione con la Federazione internazionale sull’invecchiamento (Ifa) con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e affrontare la mancanza di conoscenze sui rischi e sull’impatto della malattia nota popolarmente come “fuoco di Sant’Antonio”.
L’indagine, condotta online, ha intervistato 3.500 adulti di età pari o superiore a 50 anni provenienti da 12 Paesi (Cina, Stati Uniti, Germania, Brasile, Giappone, Regno Unito, Australia, Italia, Corea del Sud, India, Canada e Portogallo), valutando la comprensione degli intervistati sull’Herpes zoster, su cosa può scatenarlo e sul suo impatto sulla vita delle persone. Il dato preoccupante che emerge dalla rilevazione è che molti adulti a partire dai 50 anni fraintendono aspetti importanti della malattia, compreso il modo in cui può svilupparsi. I risultati del sondaggio condotto tra il 16 e il 18 agosto 2023 e presentati in una conferenza stampa lo scorso 22 febbraio, svelano il basso livello di conoscenza della malattia in Italia e nel mondo.
Come si manifesta e chi rischia di più? Su questo punto gli italiani sono promossi con riserva: l’eruzione cutanea dolorosa è il segno chiave per il 76% degli intervistati, per il 63% è anche pruriginosa. Il 38% parla genericamente di dolore ai nervi. Sulle età a rischio c’è confusione: il 41% colloca la comparsa del quadro soprattutto tra i 50 e i 70 anni, mentre il 40% pensa che possa insorgere ad ogni età. Il 7% pensa siano a rischio soprattutto gli over 70. Alla domanda ‘perché la malattia si manifesta?‘, il 58% ha risposto che il virus si trova già nel corpo. Per uno su cinque compare per “contagio” diretto da parte di un altro, dalla ripetizione della varicella (16%), dalla presenza di casi in famiglia (12%). La paura del contagio, in particolare, è vissuta dal 43% delle persone che considera il virus molto o comunque piuttosto contagioso, alimentando lo stigma.
Sul fronte della prevenzione, il vaccino – emerge dall’indagine – viene considerato una valida modalità di prevenzione per il 62% degli intervistati, ma il 30% non ne conosce la disponibilità e per 8 persone su 100 l’Herpes zoster non è prevenibile. In ogni caso, con un’apparente dissonanza, il 76% degli intervistati pensa che vaccinarsi sia il modo migliore per prevenire il virus.
Sul rischio percepito, invece, bocciatura totale per gli italiani interpellati: solo il 10% degli intervistati considera molto probabile sviluppare la malattia nel corso della vita. Più di una persona su 3 (36%) pensa che sia piuttosto o del tutto improbabile. Perché si pensa di essere immuni? Il 24% non ha mai avuto il fuoco di Sant’Antonio, il 26% perché ha avuto la varicella, il 27% non ha avuto casi in famiglia. Solo una persona su 10 pensa alla protezione legata alla vaccinazione.
“L’Herpes zoster” spiega Sara De Grazia, responsabile medico scientifico dell’area vaccini di Gsk, azienda particolarmente impegnata sul fronte del contrasto alla malattia (nella foto) “è una malattia infettiva scatenata dalla riattivazione del virus che causa la varicella. Il 90% degli adulti ha già contratto il virus della varicella quindi è potenzialmente a rischio di sviluppare il Fuoco di Sant’Antonio. Occorre pertanto maggior informazione sull’Herpes zoster, sulla nevralgia post-erpetica che rappresenta la sua principale complicazione e sulle possibilità di prevenzione grazie alla vaccinazione”.
“Oggi è a disposizione un vaccino che consente di prevenire questa patologia, che può avere un profondo impatto sulla vita delle persone e delle loro famiglie” conclude De Grazia. “Per questo è importante che la popolazione adulta, e in particolare i soggetti fragili e a rischio, si rivolgano al proprio medico di fiducia per avere indicazioni su come riconoscere, comprendere e ridurre il rischio di sviluppare questa malattia debilitante”.