banner
lunedì 17 Febbraio 2025
banner

Parkinson, esperti a convegno, speranze da un farmaco anti-diabete che lo rallenta

banner

Roma, 12 aprile – I dati ufficiali stimano in più di 400mila il numero di italiani colpiti dalla malattia di Parkinson. Il fondato timore, però, è che il dato sia (per difetto) piuttosto lontano dal dato reale, in considerazione dl probabile, elevato numero di  casi non diagnosticati, specie in tarda età.

Ad affermarlo è il neurologo Gianni Pezzoli (nella foto), direttore del Centro Parkinson del Cto Gaetano Pini di Milano, presidente dell’Associazione italiana parkinsoniani (Aip)e della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson, in occasione della Giornata mondiale dedicata alla malattia (celebrata ieri, 11 aprile) e del 44°convegno nazionale Aip in programma a Rimini sabato 13 aprile, spiegando che – a causa della complessità della patologia e dei suoi sintomi – il tempo per l’effettiva diagnosi può essere lungo e arrivare anche ad alcuni anni.

Il convegno di Rimini sarà un incontro “dedicato non ai medici”  precisa il neurologo “ma ai malati di Parkinson e ai familiari, affinché possano essere informati e non sentirsi disorientati in una realtà così complessa” come il Parkinson.

Tra le più importanti novità della ricerca, gli specialisti Aip indicano “anche i recenti studi che evidenziano un possibile effetto positivo dei farmaci antidiabetici nel ritardare l’esordio dei sintomi della malattia di Parkinson”.

Il riferimento è a uno studio francese pubblicato qualche giorno fa sul New England Journal of Medicine, secondo cui lixisenatide, un analogo del semaglutide, medicinale della famiglia dei cosiddetti anti-diabetici dimagranti (gli analoghi dell’ormone Glp-1), sembrerebbe rallentare la progressione del Parkinson in pazienti che ancora non mostrano complicazioni motorie (RIFday ne ha riferito qui).

Ma fra gli studi che hanno acceso i riflettori sui farmaci anti-diabete più in generale c’è “anche una ricerca condotta dal Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’Asst Gaetano Pini-Cto di Milano, pubblicata già lo scorso anno con il contributo della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson, che evidenzia la comparsa della malattia ritardata di sei anni nei pazienti che li assumono rispetto alle persone non trattate con gli stessi medicinali. Sembrerebbe quindi che i farmaci per il Parkinson aiutino i diabetici e viceversa”, precisa in una nota  l’Aip.

Novità anche sul fronte levodopa, il farmaco più conosciuto per il controllo del tremore associato al Parkinson. “Lo scorso 13 febbraio – ricorda ancora l’Aip – presso il Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’Asst Gaetano Pini-Cto, diretto da Ioannis Isaias, è stato trattato il primo paziente in Italia con l’infusione sottocutanea di levodopa. Questa tecnologia, che consiste in una somministrazione continua del farmaco attraverso una pompa e un piccolo ago sotto la pelle, garantisce un controllo stabile dei sintomi della malattia di Parkinson in fase avanzata, quando si hanno gravi fluttuazioni motorie, poco controllabili dalla terapia orale”.

Sempre in questo filone, al convegno di Rimini si parlerà di “terapia infusionale sottocutanee con apomorfina, infusione duodenale di levodopa e stimolazione cerebrale profonda” o ‘pacemaker cerebrale’.

“Questa tecnica, che consiste nell’impianto di elettrodi intracerebrali e di un generatore di impulsi elettrici posto sottocute per stimolare specifiche aree del cervello e ridurre lentezza, rigidità e tremore nel paziente”  spiegano gli esperti “ha recentemente visto importanti novità come l’introduzione di elettrodi ‘segmentati’ che riescono a direzionare la corrente di stimolazione e dispositivi con batterie ricaricabili. Sono stati anche sviluppati programmi in grado di visualizzare con precisione il volume del tessuto cerebrale stimolato, per una personalizzazione del trattamento sul singolo paziente”.

L’Aip informa infine che è in corso  “una sperimentazione per modulare gli stimoli erogati dal dispositivo in base alle esigenze del cervello: la stimolazione cerebrale viene erogata in base alle fluttuazioni dei segnali di particolari aree del cervello, in risposta ai sintomi del paziente e a seconda delle sue attività quotidiane. Il principale vantaggio del trattamento è che agisce 24 ore su 24, con un effetto continuo durante il giorno e la notte, evitando le fluttuazioni dei sintomi associate all’assunzione dei farmaci”.

banner
Articoli correlati

i più recenti

I più letti degli ultimi 7 giorni