Roma, 11 giugno – Gli stessi farmaci che servono per curare, guarire e spesso salvare la vita agli uomini possono avere effetti tutt’altro che positivi per l’ambiente e altre specie animali. E il loro impatto in questa prospettiva va valutato meglio e più profondamente.
Sul problema, Adnkronos Salute ha diffuso le considerazioni di Emilio Benfenati, responsabile del Dipartimento di ambiente e salute dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs (nella foto), secondo il quale l’Europa (e l’Italia) stanno sul “pezzo” e hanno già avviato progetti finalizzati a monitorare e valutare l’impatto delle molecole farmaceutiche sull’ecosistema.
“L’Agenzia europea del farmaco Ema ha una delle linee guida più avanzate al mondo” spiega l’esperto, sottolineando come su questo fronte le attenzioni poste in essere non mancano davvero, come “per esempio quelle sugli interferenti endocrini, per i quali si richiedono dati molto dettagliati”.
L’appello lanciato da un gruppo di scienziati su Nature Sustainability per un maggiore impegno contro la pervasiva contaminazione degli ecosistemi non cade dunque nel vuoto. Il lavoro in questa direzione è già cominciato da tempo, assicura Benfenati.
“Per quanto riguarda l’ecotossicità dei farmaci, in particolare, c’è un grosso progetto che nasce dal sodalizio tra la Commissione europea e l’Efpia (la Federazione europea delle associazioni e delle industrie farmaceutiche, NdR)” continua il ricercatore del Mario Negri. Una parte delle risorse vengono investite per gli enti di ricerca e l’altra parte per ricerche che le industrie farmaceutiche fanno in casa, ma esclusivamente sulla parte dell’ecotossicità. “È dunque un progetto” che nasce “sotto questo ombrello europeo, ne fa parte anche l’Ema, ma le aziende sono internazionali e tante sono anche con sede in America. Quindi in un certo senso potremmo dire che in questo caso è l’Europa che va a indicare come muoversi. Lo sforzo è decisamente ingente. Il progetto si chiama Premier e noi come Istituto Mario Negri gestiremo il database di tutti questi dati sugli effetti dei farmaci nei confronti del pesce, della Daphnia, dell’alga, di organismi terrestri, eccetera“.
Esistono quasi 2.000 ingredienti farmaceutici attivi (Api) in uso – si legge nella presentazione del progetto – ma si sa poco sui rischi che comportano per l’ambiente. Di conseguenza, spiegano i promotori, c’è urgente bisogno di metodi basati sulla scienza che identifichino le minacce ambientali nelle prime fasi del processo di sviluppo dei farmaci. Questo progetto “sta dunque già ponendosi dei problemi: per esempio come recuperare una serie di dati che ancora mancano – spiega Benfenati – perché solo per i farmaci parliamo di più di mille sostanze e se uno dovesse fare tutti quei test che l’Ema richiede sul pesce, per i casi in cui mancano, si è calcolato che ci vorrebbero circa 300.000 pesci per gli esperimenti e circa 60 anni. Non ci sono neanche i laboratori e il test poi non dura solo un giorno, soprattutto per gli effetti cronici. Quindi si stanno predisponendo delle metodiche alternative: metodi basati su cellule, su computer. Qualcosa che sia in grado di rispondere alla necessità dei dati sperimentali che attualmente difettano”.
Per legge, illustra l’esperto, “si richiede che gli stati di tossicità acquatica siano investigati su tre livelli: il pesce è l’ultimo, quello più in alto; sotto ci sono gli invertebrati, dei piccoli gamberetti che il pesce mangia; e sotto ancora le alghe. Ed è necessario farlo non solo per i farmaci, ma anche per tutte le altre sostanze. Si devono andare a investigare tutti questi aspetti perché, se anche la sostanza uccidesse le alghe, poi non ci sarebbero più le Daphnie e quindi, a un certo punto, neanche i pesci. E’ necessario dunque tenere conto non solo degli effetti tossici a livello apicale, ma anche lungo tutta la catena. Nel caso del biocidio occorre valutare anche i microrganismi”.
L’interesse verso queste analisi si sta ampliando. “Per la prima volta, proprio nel caso dei farmaci, nella nuova linea guida dell’Ema vengono citati gli effetti tossici sul comparto acquatico non solo a livello di acque di superficie, ma anche di falda” osserva Benfenati. “Sarà più difficile recuperare questi dati, ma per la prima volta si parla di prendere in considerazione per esempio l’effetto sul proteus anguinus, una specie di salamandra che vive solo nelle grotte, è cieca perché è avvolta nel buio, e ha solo tre dita”. Il progetto Premier si occupa in realtà sia delle specie acquatiche che terrestri. “E il database che il Mario Negri sta costruendo nell’ambito del progetto sarà disponibile all’inizio dell’anno prossimo e sarà anche offerto all’Ema” spiega Benfenati.
Il progetto “tiene conto degli effetti ma anche delle esposizioni a queste sostanze che sono presenti ad esempio ai depuratori o nei corsi d’acqua valutando la combinazione di due elementi, sia in termini di maggiore abbondanza che di maggiore tossicità” continua l’esperto. Quelle descritte da diversi studi che fotografano l’impatto su alcune specie animali sono “delle situazioni effettive, reali, probabilmente proprio uno degli elementi più critici. È stato per esempio osservato a valle dei depuratori un effetto di popolazione su certi pesci” che si femminilizzano “ed è chiaro che questo porta ad estinzione. Il problema non sono solo gli anticoncezionali”, ai quali viene imputato l’effetto osservato in una ricerca. “Ci sono anche altri farmaci che sono attivi a livello di interferenti endocrini, circa il 10% dei farmaci sono molto attivi sui pesci”.
E poi, afferma Benfenati, vanno considerati due aspetti: “Uno è un aspetto di scala: l’uomo pesa 60-70 chili, questi organismi qualche grammo, e quindi basta poco. E poi ci sono anche delle sensibilità differenti a seconda delle specie e degli organismi, quindi certe sostanze che magari nell’uomo sono innocue per certe specie animali diventano molto tossiche. Ci sono esempi noti in letteratura, come l’avvelenamento degli avvoltoi per il diclofenac usato nel bestiame. Molta della contaminazione da farmaci è anche dovuta a un uso un po’ sproporzionato di farmaci veterinari, non dobbiamo pensare solo ai farmaci per l’uomo“.
“Dipende proprio anche dal metabolismo, l’uomo può prendere il paracetamolo fino a una certa quantità perché il nostro organismo lo metabolizza, altri organismi no” chiarisce ancora il ricercatore del Mario Negri. “Per esempio il serpente non lo metabolizza e per lui diventa tossico subito. Tanto che in India e in alcuni Paesi asiatici viene proprio usato come veleno per eliminarli”. Altro esempio: “I gatti e tutti i felini, che sono ipercarnivori, gestiscono male certi tipi di sostanze di origine vegetale perché il loro organismo non è abituato a metabolizzare in generale le sostanze di origine vegetale”. L’Istituto Mario Negri ha condotto studi in questo campo. “Noi principalmente ci occupiamo di estrapolare le informazioni da una sostanza all’altra” conferma Benfenati “guardando la struttura chimica, studiando il tipo di meccanismo per cercare di capire quali parti della molecola siano responsabili di un certo tipo di attività avversa. Anche il progetto Premier vuole fare questo”.
L’industria farmaceutica, fa notare Benfenati, “che pure è probabilmente fra le più evolute in assoluto, ha un approccio sequenziale: le aziende partono da 100mila possibili farmaci, li studiano col computer, poi via via affinano, fanno una serie di test, arrivano magari a 10 sostanze che studiano più approfonditamente, poi passano agli effetti tossici sull’uomo e solo la fine agli effetti tossici sul pesce e così via. In realtà, se si riuscisse ad anticipare e a mettere insieme fin dall’inizio questo tipo di studi – non solo le caratteristiche ‘terapeutiche’ ma anche le caratteristiche avverse – risparmierebbe soldi anche l’industria stessa” conclude il responsabile del Dipartimento Ambiente e salute del Mario Negri. “Per farlo c’è bisogno di strumenti, di un know how diverso, di metodiche e approcci. Quindi l’elemento più innovativo di Premier è forse proprio questa idea di procedere in modo parallelo con tutto quanto dall’inizio”