Roma, 17 giugno – Un attacco diretto alle farmacie, al servizio farmaceutico e – per conseguenza – ai cittadini. Così i farmacisti titolari del Lazio interpretano la legge regionale n. 9 del 5 giugno 2024, che interviene anche (all’art. 6) per rivedere l’aggio riconosciuto alle farmacie per il servizio di distribuzione di farmaci in nome e per conto del Servizio sanitario regionale. E lo fa impugnando un paio di forbici: il nuovo valore dell’aggio, omni-comprensivo, è infatti “computato con riferimento ai farmaci erogati e corrisponde alla media calcolata sui primi quattro valori in ordine crescente del ‘costo servizio medio’ delle Regioni riportati nel rapporto annuale più recente dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (OsMed) dell’Agenzia italiana per il farmaco (Aifa)”, recita l’articolo. Tradotto in termini più semplici e messo in relazione con l’attuale quadro regolatorio della Dpc nel Lazio, significa che per assicurare il servizio in distribuzione per conto le farmacie della Regione saranno retribuite con un aggio per confezione corrispondente più o meno a un terzo di quello percepito oggi.
Un taglio draconiano, insomma, disposto unilateralmente e dall’alto, al quale le sigle delle farmacie non hanno ancora ufficialmente reagito, anche se a far capire l’aria che tira bastano alcune reazioni a titolo personale affidate ai social da parte di qualche dirigente di categoria (si veda ad esempio il video pubblicato su Facebook dal presidente di Fenagifar Vladimiro Grieco).
Ma, ovviamente, il provvedimento ha agitato – e molto – le acque delle farmacie laziali, che lo ritengono una grave ingiustizia: anche se la Dpc del Lazio è effettivamente la più alta d’Italia (come peraltro non fanno fatica a riconoscere gli stessi dirigenti dei sindacati dei titolari) non bisogna dimenticare che le farmacie di comunità della Regione concorrono virtuosamente al governo della spesa per i farmaci: da gennaio a novembre 2023, come attesta il report Aifa relativo ai primi 11 mesi dello scorso anno, la spesa farmaceutica convenzionata del Lazio è rimasta infatti ampiamente al di sotto del tetto assegnatole, “risparmiando” qualcosa come 39 milioni di euro. Una salutare boccata di ossigeno, in una Regione dove la spesa per l’acquisto diretto dei farmaci il tetto lo “sfonda” invece addirittura di 269 milioni.
Ciò a significare che il costo più alto della Dpc (un servizio che per essere assicurato – con grande apprezzamento da parte dei cittadini – ha comportato la strutturazione di un sistema organizzato e perfettamente funzionante, con la partecipazione di una pletora di soggetti, tra i quali i distributori intermedi e, appunto, le farmacie) è ampiamente bilanciato dai vantaggi contabilizzati in altre partite.
La legge regionale n. 9/2024, in realtà, è solo l’ultimo capitolo di un’ormai lunga sequela di“incomprensioni” tra la Giunta regionale presieduta da Francesco Rocca (nella foto) e le sigle delle farmacie territoriali. I punti di frizione sono molti: il Lazio, nonostante il chiaro indirizzo del Governo centrale (dello stesso colore di quello regionale, peraltro), è tra le grandi Regioni quella che più stenta nel far partire la sperimentazione della ‘farmacia dei servizi’. Ma non è tutto: la Regione ha anche fin qui ostacolato in ogni modo il passaggio delle gliptine – i farmaci anti-diabetici protagonisti del primo atteso aggiornamento del Prontuario della continuità assistenziale ospedale-territorio (Pht) – dalla dispensazione in ospedale alla classe A per favorirne l’accesso in termini di prossimità attraverso le farmacie territoriali. Un ostracismo che gli uffici regionali motivano sostenendo che non sia obbligatorio osservare le indicazioni dell’autorità regolatoria a proposito della riclassificazione in fascia A dei farmaci del Pht. glissando sul fatto che si tratti di un obiettivo fortemente perseguito dal governo e dalla sua maggioranza.
Contraddicendo le stesse pubbliche e reiterate dichiarazioni dei suoi rappresentanti (a partire proprio dal presidente Rocca) sulla necessità di favorire la transizione delle farmacie verso il modello dei servizi, in una prospettiva di sviluppo dell’assistenza di prossimità, la Regione Lazio ha dato l’impressione negli ultimi tempi di ostacolare in ogni modo le sviluppo delle attività a favore dei cittadini di questi presidi sanitari del territorio.
Ovviamente, il mondo delle farmacie si interroga su quali possano essere le ragioni di decisioni difficili da comprendere e ancora di più da accettare. Federfarma Roma, in una sua nota interna, avanza il sospetto che quella della Regione sia in realtà una strategia posta in essere proprio per costringere le farmacie della Regione ad accettare un taglio molto consistente sulle attuali condizioni economiche della Dpc. Il ragionamento, insomma sarebbe questo: voi azzerate o quasi la remunerazione della Dpc e noi facciamo partire la “farmaciadei servizi”, gli scivolamenti dei farmaci del Pht e tutto il resto.
Il problema è che la condizione richiesta dal governo regionale – senza stare a fare troppi conti – le farmacie proprio non possono accettarla, per il semplice motivo che non possono sostenerla: abbassare gli aggi a quei livelli significherebbe infatti destrutturare un sistema faticosamente messo in piedi e decretare il ritorno alla distribuzione diretta di quei farmaci che i cittadini (su tutti gli anziani e i cronici) oggi ritirano comodamente nella farmacia vicina a casa.
Inutile spendere parole sulle conseguenze negative che ciò produrrebbe in termini di disagi e di difficoltà nell’accesso ai farmaci. Ma i responsabili regionali farebbero anche bene a interrogarsi fin d’ora anche sulle conseguenze che la loro decisione comporterebbe in termini di perdita di consenso, laddove davvero si fosse costretti a un ritorno al passato.
Il fatto grave è che la Regione – utilizzando tra l’altro un provvedimento regionale che con la farmacia non ha nulla a che vedere – ha comunque deciso di varcare il Rubicone dell’azzardo e di forzare la mano, imponendo alle farmacie – come già riferito – la misura devastante di un allineamento della remunerazione Dpc alla media dell’aggio delle 4 per conto più basse d’Italia.
Da via Cristoforo Colombo, insomma, è arrivata quella che a tutti gli effetti assomiglia a una vera e propria dichiarazione di guerra, alla quale – a giudicare da quanto si legge in
una nota informativa inviata il 14 giugno dal presidente di Federfarma
Andrea Cicconetti (nella foto) a tutte le farmacie associate – le farmacie laziali intendono rispondere a pie’ fermo.
In primo luogo, verrà valutata l’esistenza delle condizioni per un ricorso al Tar contro quanto disposto dall’art. 6 della legge regionale n. 9/2024. Se il percorso della “farmacia dei servizi”, partito in pressoché tutte le Regioni d’Italia, nel Lazio dovesse poi continuare a rimanere al palo, l’idea è quella di avviare “campagne di comunicazione per far comprendere ai cittadini come le farmacie potrebbero aiutarli nella prevenzione e nell’abbattimento delle liste d’attesa”.
Ancora, il sindacato dei titolari di Roma e provincia scrive che non sarà mai firmato “un accordo che in una Regione di centrodestra, con un Governo nazionale di centrodestra che riporta i farmaci in convenzionata per riconoscere il ruolo di prossimità delle farmacie, va a destrutturare e rende insostenibile la Dpc rischiando di mettere in difficoltà la distribuzione di farmaci in tantissimi piccoli comuni del Lazio a discapito dell’assistenza ai cittadini”.
E, ovviamente, non manca un riferimento a misure di protesta più drastiche, la proclamazione dello stato di agitazione e dimostrazioni pubbliche di protesta sotto la sede della Regione Lazio.
Bisogna ora comprendere se l’azzardo della Regione di decretare d’imperio il taglio della remunerazione della Dpc è una scivolata del piede sulla frizione che ha costretto a un inopinato (e sbagliato) cambio di marcia nella gestione delle politiche farmaceutiche laziali, o se è invece una decisione consapevole e voluta, tassello di una strategia francamente difficile da decrittare.
Quel che è sicuro è che le farmacie, in questi ultimi anni segnati anche da prove drammatiche come la pandemia, hanno raggiunto l’ormai incrollabile consapevolezza di essere un presidio indispensabile per lo sviluppo di una sanità di prossimità moderna, sostenibile e in grado di rispondere ai bisogni delle persone sul territorio. E forti di questa consapevolezza non accetteranno misure e decisioni che possano pregiudicare questo status: “Resisteremo e combatteremo portando avanti le nostre istanze e le nostre idee” scrive al riguardo Cicconetti “convinti sempre che la farmacia, oggi più che mai è un elemento insostituibile nella sanità di prossimità”.