Roma, 20 giugno – Sul tema dell’autonomia differenziata, la legge approvata ieri a Montecitorio, della quale riferiamo in altra parte del giornale, la Fondazione Gimbe aveva presentato nello scorso mese di marzo un suo articolato report che evidenziava come l’attuazione delle autonomie richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto avrebbero avuto conseguenze dirompenti (leggi: distruttive) per il comparto sanitario, azzerando di fatto l’assistenza sanitaria nel Sud del Paese e compromettendo quindi seriamente il diritto costituzionale alla tutela della salute per tutti i cittadini italiani (RIFday ne riferì in questo articolo).
Dall’analisi condotta da Gimbe scaturiva una valutazione del tutto negativo del provvedimento all’epoca ancora in discussione: il tipo di autonomia richiesto e proposto è inevitabilmente destinato ad amplificare le già gravi diseguaglianze esistenti nel Servizio sanitario nazionale, pregiudicando i suoi principi fondanti di universalità ed equità. Nonostante l’adozione dei Lea, i livelli essenziali di assistenza introdotti proprio per garantire standard uniformi su tutto il territorio nazionale, i dati di realtà sono inequivocabili: persistono ancora inaccettabili divari regionali, con un gap strutturale tra le Regioni del Nord e del Sud del Paese che su molti indicatori è addirittura peggiorato negli anni.
Secondo il rapporto di Gimbe, “differenziare” le autonomie (come richiesto proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie) non può avere altro esito che quello di amplificare, inevitabilmente, le diseguaglianze di un Ssn che già oggi è universalistico ed equo solo sulla carta. Per la Fondazione presieduta da Nino Cartabellotta (nella foto), inoltre, alcune tra le autonomie richieste, alcune appaiono francamente “eversive” rispetto al Ssn, come la possibilità di istituire fondi sanitari integrativi regionali o la contrattazione integrativa regionaleper il personale.
La consultazione fi Gimbe sulla delicatissima materia aveva coinvolto quasi 4.000 stakeholders della sanità, evidenziando diffuse preoccupazioni per l’irreversibilità del processo, l’imprevedibilità delle sue conseguenze e l’ulteriore spaccatura Nord-Sud, con una sorta di legittimazione normativa e irreversibile del divario tra Nord e Sud e la già citata violazione del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute.
La Fondazione Gimbe, alla luce dei risultati della sua analisi, aveva invitato il Governo a espungere la “tutela della salute” dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie. In alternativa, veniva chiesto che l’eventuale attuazione del regionalismo differenziato in sanità fosse necessariamente preceduta dalla eliminazione del gap strutturale tra le Regioni del Nord e del Sud, modificando i criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale e aumentando le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle regioni.
Altrimenti, concludeva Gimbe, si rischia di trasformare la sanità in un bene pubblico per i residenti al Nord e in un bene di consumo per le altre Regioni, il cui accesso dipenderebbe dalle risorse disponibili.