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mercoledì 15 Gennaio 2025
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Test virali. studio USA: farli subito per Rsv e flu, per Covid meglio dopo 2 giorni dai sintomi

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Roma, 4 luglio – A quanta distanza dall’apparizione dei primi sintomi è meglio fare il test per il Covid? Al quesito, importante ai fini di una rilevazione dell’infezione da Sars CoV 2 al di sopra di ogni sospetto, è dedicato uno studio dell’università di Colorado (Cu) di Boulder, pubblicato il 14 giugno su Science Advances,  che prova a fare chiarezza su quando fare il test Covid per massimizzarne l’affidabilità, grazie a un nuovo modello matematico che offre indicazioni utili non solo per l’infezione da Sars-CoV-2, ma anche per altre malattie trasmissibili come l’influenza o il virus respiratorio sinciziale Rsv. Per quanto riguarda il Covid, emerge un’indicazione molto chiara: in caso di sintomi sospetti, meglio aspettare due giorni prima di fare il test Covid.

“Per il Covid abbiamo scoperto che, se si fa un solo test, per usarlo è preferibile attendere due giorni dalla comparsa dei sintomi, perché prima è improbabile che il virus sia rilevabile” spiega Casey Middleton (nella foto a sinistra), prima autrice del lavoro, dottoranda del dipartimento di Informatica alla Boulder University, programma IQ Bio, che ha sviluppato il nuovo modello con Daniel Larremore (foto a destra), autore senior dell’ateneo. In altre parole, un test fatto prima, ovvero subito dopo l’insorgenza dei primi sintomi attribuibili a un sospetto contagio, non produrrà un risultato affidabile.

Del tutto opposte le indicazioni, sempre alla luce dei risultati dello studio, che scaturiscono se si sospetta di aver contratto il virus dell’influenza o quello sinciziale: in questo caso, chiarisce Middleton, “è meglio fare il test rapido quando si avvertono i primi sintomi”.

In ordine all’opportunità o meno di effettuare il test Covid, Larremore spiega che “se vuoi andare al club del libro o alla serata bingo con i nonni, testarsi è davvero una buona idea”. A significare che anche oggi, archiviata l’emergenza pandemica, è sempre meglio sapere di essere stati infettati prima di entrare in contatto con persone fragili. Ciò premesso, chiarisce il ricercatore, “il Covid è cambiato, ogni variante si comporta in maniera diversa e diverso potrebbe essere il modo con cui interagisce con i test”.

Questa variabilità è stata riscontrata dallo studio: quando Larremore e Middleton hanno inserito nel nuovo modello computazionale informazioni sulle varianti Omicron ormai ubiquitarie, sul comportamento dei pazienti e su altri fattori, si è visto che se un contagiato Covid viene sottoposto a test rapido immediatamente, ai primi sintomi, il falso negativo è quasi certo: l’infezione sfugge in una percentuale di casi che arriva al 92%. Aspettando due giorni i falsi negativi scendono invece al 70%. Se poi c’è la possibilità di fare un secondo test il terzo giorno, calano al 66%: un’infezione su tre viene rilevata. Potrà sembrare poco, ma nella pratica è sufficiente: “Diagnosticare un terzo delle infezioni” assicura Larremore “può comunque ridurre sostanzialmente la trasmissione” di Covid. I test rapidi sono stati infatti progettati per intercettare i positivi con la maggior carica virale. I più contagiosi.

Le nuove varianti di Sars-CoV-2, considerando anche che la maggior parte delle persone ha ormai sviluppato un certo grado di immunità per Covid, si replicano un po’ più lentamente rispetto al nuovo coronavirus originario, spiegano gli autori dello studio.  Accade pertanto che “i sintomi si manifestano prima, ma ci vuole più tempo perché nell’organismo venga raggiunta una carica virale tale poter essere rilevata” con il test rapido, puntualizza Middleton. Per l’infezione da Rsv e l’influenza, invece, il virus si moltiplica così rapidamente che già ai primi sintomi ce n’è abbastanza per far risultare positivo il test. Nasce quindi un altro dilemma, osserva Larremore: “Se ci si testa subito per tutto”, cioè per Sars CoV 2, virus influenzali e virus sinciziale, “potrebbe andare bene per influenza e Rsv, ma essere troppo presto per Covid”; all’opposto, “se si aspetta qualche giorno potrebbe essere il momento giusto per Covid, ma troppo tardi per influenza e Rsv”.

Ipotizzando di aver centrato la finestra ideale e di avere in mano un test Covid positivo, che fare? Isolarsi sarebbe un gesto responsabile, ma per quanto tempo? “Supponendo di avere a disposizione abbastanza tamponi da ripetere a domicilio”, gli autori dello studio suggeriscono che ricorrere alla vecchia “strategia del test di uscita”, quella che prevede di “eseguirlo nuovamente per decidere se tornare al lavoro e alla vita sociale, può prevenire più infezioni e con disagi minori” rispetto all’approccio dei “cinque giorni di isolamento che fino a marzo era il consiglio standard dei Cdc”, i Centers for Disease Control and Prevention USA. “Questa politica ha costretto le persone a isolarsi troppo a lungo nella maggior parte dei casi”, afferma Middleton. Meglio la strategia test-to-exit, che “libera prima chi non trasmetterà più il virus, trattenendo in casa soltanto chi ha una carica virale alta”.

La speranza di Larremore e Middleton è che il loro modello matematico possa aiutare le aziende a sviluppare test migliori per Covid, influenza e Rsv, i medici a consigliare meglio i pazienti e le autorità sanitarie – in caso di nuova pandemia – ad adottare una politica di test agile e basata sulle evidenze.

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