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venerdì 4 Ottobre 2024
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Emicrania con aura, studio USA-Danimarca svela la causa e apre la strada a nuovi farmaci

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Roma, 8 luglio – Uno studio condotto dall’Università di Rochester (New York) e dall’Università di Copenaghen potrebbe aver finalmente scoperto la causa dell’aura, il particolare fenomeno neurologico che accompagna una forma di emicrania: l’evento che lo scatena sarebbe un movimento del flusso di liquidi nel cervello che trasporta le proteine infiammatorie responsabili del mal di testa.

In questo modo i ricercatori sono riusciti anche a individuare 12 proteine coinvolte nell’emicrania,  scoperta che potrebbe aprire la strada allo sviluppo di nuovi medicinali in grado di trattare l’emicrania, patologia neurologica invalidante che, secondo le  stime, colpisce 6 milioni di italiani, prevalentemente donne, condizionando fortemente la loro vita privata e lavorativa.

Chi soffre di emicrania con aura sperimenta diversi sintomi visivi, come lampi di luce e altri problemi di vista, a causa di un particolare fenomeno che avviene nel cervello, noto come depressione corticale a diffusione: questa consiste in un’ondata di attività neuronale che causa la riduzione dei livelli di ossigeno e compromette temporaneamente il corretto flusso sanguigno.

Anche se il fenomeno avviene nel cervello, quest’ultimo non è in grado di percepire il dolore che viene  avvertito perché i segnali vengono trasmessi dal sistema nervoso centrale – cervello e midollo spinale – al sistema nervoso periferico, che fa da ponte di comunicazione tra il cervello e il resto del corpo. Nel 2012, i ricercatori dell’Università di Rochester e dell’Università di Copenaghen sono stati tra i primi a studiare il ruolo in questo meccanismo del dolore svolto dal liquido cerebrospinale (Csf)

Insieme a esperti di fluidodinamica, il gruppo di ricercatori ha osservato in uno studio su topi le modalità con cui questo liquido trasporta proteine e neurotrasmettitori, oltre ad altre sostanze chimiche. Questo ha permesso agli studiosi di rovesciare quella che era ritenuta finora la spiegazione più accredita sulle cause dell’aura, l’ipotesi secondo cui fossero le terminazioni nervose collocate sulla superficie esterna delle membrane che racchiudono cervello a innescare il mal di testa.

Come si legge nello studio pubblicato su Science lo scorso 4 luglio, i veri responsabili sarebbero piuttosto un gruppo di proteine infiammatorie che dopo essere state rilasciate dai neuroni durante l’aura vengono trasportate dal liquido cerebrospinale fino a un fascio di nervi – noto come “ganglio trigeminale” – situato alla base del cranio. Qui le proteine si legano ai recettori presenti, stimolando i nervi che lo formano e innescano in questo modo la sensazione di dolore.

“Nello studio descriviamo l’interazione tra il sistema nervoso centrale e periferico causata dall’aumento delle concentrazioni di proteine ​​rilasciate nel cervello durante un episodio di depolarizzazione diffusa, un fenomeno responsabile dell’aura associata all’emicrania” ha affermato la neuroscienziata danese Maiken Nedergaardco-direttore del Centro di Neuromedicina traslazionale dell’Università di Rochester e autore principale dello studio (nella foto). “Questi risultati ci forniscono una serie di nuovi bersagli per sopprimere l’attivazione dei nervi sensoriali per prevenire e curare l’emicrania e rafforzare le terapie esistenti”.

L’elemento davvero innovativo dello studio è la scoperta del ruolo esercitato dal ganglio trigeminale nel trasmettere il dolore: finora si pensava infatti che questo punto non venisse toccato dal liquido cerebrospinale.

Delle 12 proteine infiammatorie individuate, una, la Cgrp, era già nota per causare l’emicrania, tanto che già da qualche anno è stata sviluppata una classe di farmaci (gli inibitori Cgrp) contro il mal di testa che agiscono proprio su di essa. Tuttavia, aver individuato le altre proteine coinvolte e il meccanismo attraverso cui determinano l’emicrania potrebbe consentire la scoperta di nuovi bersagli farmacologici, con possibili vantaggi per la gran parte dei pazienti che non rispondono alle terapie disponibili.

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