Roma, 29 agosto – Tra le tracce che il mese di agosto 2024 lascerà negli annali della sanità italiana, molto probabilmente spiccherà tra le altre la dura polemica sollevata da un fronte variegato di professionisti sanitari contro la decisione del Governo Meloni (assunta quattro mesi fa con il via libera al decreto Semplificazioni) di autorizzare le farmacie a effettuare una corposa serie di esami diagnostici, nell’ambito della Farmacia dei Servizi, anche in regime convenzionale. Una vera e propria “rivoluzione” che in verità tutto è stato fuorché un fulmine a ciel sereno, essendo giunta al termine di un lungo percorso durato anni.
Non sono però mancati i rappresentanti di medici, biologi e mondo dei laboratori che, dando l’impressione di cadere improvvisamente dal pero, intorno alla metà di agosto, incuranti dei termometri spesso oltre i 40 gradi centigradi, hanno pensato bene di aggiungere fuoco e fiamme al clima già intollerabile, scagliandosi contro la decisione di consentire alle farmacie di assicurare prestazioni e servizi diagnostici e di telemedicina.
Di seguito sono riassunte (a memoria futura) alcune delle posizioni “rimbalzate” sui mezzi di informazione nazionale, che non lasciano alcun dubbio sul pensiero di buona parte delle categorie sanitarie prima ricordate in ordine al “coinvolgimento” delle farmacie in attività evidentemente ritenute di stretta e assoluta pertinenza di altre professioni.
“Mentre la scienza va verso la medicina di precisione, esponenti di governo in palese conflitto di interessi (palese il riferimento al sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, nella foto, titolare di farmacia a Terlizzi, NdR) sponsorizzano quella approssimativa, che fa eseguire esami e accertamenti diagnostici con apparecchiature non attendibili, senza possedere i requisiti richiesti per legge agli ambulatori di analisi” tuonano ad esempio i rappresentanti dei laboratori di analisi, che inevitabilmente vedono nella concorrenza “legalizzata” delle farmacie una pericolosissima minaccia alla loro attività.
Sul sentiero di guerra anche i biologi, che hanno pensato bene di richiedere all’università di Padova un parere pro-veritate sull’affidabilità degli esami eseguiti in farmacia con i sistemi Point of care testing (poct) e Near patient testing (Npt). Le valutazioni dell’ateneo patavino concludono osservando che i due sistemi diagnostici utilizzati dalle farmacie “permettono prestazioni analitiche sufficienti per garantire il monitoraggio di alcuni parametri, come nel caso di alcune malattie croniche (in caso di diabete, la glicemia), ma non raggiungono le specifiche di prestazione analitica necessarie per la diagnosi”.
Nel caso la bocciatura non fosse chiara, MariaStella Giorlandino, presidente della Fondazione Artemisia, ente non profit riconducibile a una delle principali realtà della diagnostica capitolina, la Artemisia Lab, forte di 23 centri clinici diagnostici a Roma, Ciampino e Lido di Ostia ma soprattutto presidente della Uap, l’Unione nazionale ambulatori, poliambulatori enti e ospedalità privata che riunisce oltre 95.00 mila strutture sanitarie, mette il carico da undici: “Un esame fatto in farmacia con il pungidito ha lo stesso valore di chi si controlla la glicemia con le macchinette in vendita nelle stesse farmacie” ha spiegato l’imprenditrice al quotidiano La Stampa. “Va bene per un controllo, ma per stabilire i valori reali di glicemia, così come per un emocromo completo, l’esame è ben più lungo e complicato”. Giorlandino affonda quindi il colpo e gira la lama, facendo un esplicito riferimento ai conflitti di interesse che (lascia intendere) si celerebbero dietro la decisione di affidare le analisi diagnostiche anche alle farmacie: “Ai vertici del ministero c’è un farmacista come Marcello Gemmato, con tanto di farmacia a Terlizzi, proprio nel suo collegio elettorale di Bari” osserva ancora Giorlandino, preoccupandosi di precisare che l’obiettivo della protesta dei laboratori non si riduce davvero a “una mera contestazione sulle farmacie”, ma è volto a chiedere “che vengano applicate le stesse norme e gli stessi vincoli a tutti gli operatori del mondo sanitario”. Quei vincoli – spiega l’imprenditrice – che obbligano le strutture sanitarie riunite nella Uap a ottenere “un’autorizzazione regionale e delle Asl di competenza che viene rilasciata solo previa la verifica della sussistenza di oltre 420 requisiti strutturali, tecnici e professionali, nel rispetto del D.Lgs. n. 502/1992 e successivi interventi normativi”, via stretta, tortuosa, impegnativa e soprattutto obbligata per poter erogare i loro servizi.
Per contro, alle farmacie viene consentito dai recenti provvedimenti normativi di erogare le medesime prestazioni sanitarie senza l’autorizzazione regionale all’esercizio, ma sulla semplice base – afferma Giorlandino, sottolineando l’evidente disparità di trattamento – del “possesso di una mera autorizzazione comunale alla vendita di prodotti, in spregio al citato D.Lgs. n. 502/1992, posto a tutela della salute dei cittadini”.
“I retrobottega delle farmacie trasformati in laboratori d’analisi sono privi di autorizzazione sanitaria e dei necessari requisiti di legge” ha rincarato la dose il presidente dell’Ordine dei Biologi Vincenzo D’Anna, spintosi a chiedere l’intervento dei Nas e del ministero della Salute, peraltro già espressosi sulla vicenda a fine luglio con il suo titolare, Orazio Schillaci: dopo la durissima nota diramata qualche giorno prima della appena ricordata Uap, il ministro era infatti intervenuto per rasserenare gli animi, assicurando che sarebbe stato fatto tutto il necessario per garantire i requisiti necessari a mantenere le analisi diagnostiche sui gold standard, ovvero i necessari standard qualitativi di alto livello. Le rassicurazioni, tutto sommato abbastanza vaghe, erano state accolte “con soddisfazione” dal vicepresidente Unindustria sezione sanità Luca Marino e commentate positivamente dal presidente della Fofi Andrea Mandelli (nella foto), subito dichiaratosi a disposizione del ministro “per individuare gli standard organizzativi e gestionali più adeguati”.
La sortita del ministro, però non è statain tutta evidenza sufficiente a sopire le polemiche, riesplose con forza appena prima di Ferragosto, quando anche i medici sono scesi in campo con le loro critiche, veicolate sempre attraverso il quotidiano La Stampa. “Con questo sistema, che non prevede la refertazione da parte del farmacista, c’è il rischio di fomentare il consumismo sanitario e le autodiagnosi” ha affermato ad esempio Vincenzo Scotti, segretario nazionale della Fimmg, la federazione dei medici di famiglia. “Il primo è favorito dal fatto che per ottenere un Ecg o un’analisi del sangue in farmacia non è necessario nemmeno munirsi di una prescrizione medica perché l’accertamento viene eseguito gratuitamente, a totale carico della Regione che poi rimborsa il farmacista”.
Altro pericolo, per Scotti, è il fenomeno delle autodiagnosi che il nuovo sistema potrebbe concorrere ad aumentare sensibilmente: “Mi è già capitato che arrivano pazienti con un elettrocardiogramma che ha dato valori alterati magari per un problema esofageo e non cardiaco” spiega il leader della Fimmg, prefigurando il carico di problemi che potrebbe abbattersi sui medici di famiglia.
Il vice segretario nazionale degli mmg, Pierluigi Bartoletti, ha invece preferito fare riferimento agli errori che possono scaturire dalle analisi svolte in farmacia raccontando un aneddoto: “Un mio assistito con problemi di anemia ha fatto un emocromo completo in farmacia dal quale risultava un valore dell’emoglobina sceso fino a 9, ampiamente al di sotto del livello minimo che è intorno a 13. Mi sono insospettito e gli ho fatto rifare l’esame in ospedale sette giorni dopo, il valore era risalito di tre punti: un balzo in avanti in così poco tempo non si sarebbe potuto registrare nemmeno con una doppia trasfusione di sangue”.
Al fuoco incrociato delle critiche degli altri professionisti si è opposto il presidente della Fofi Mandelli, parlando di “polemiche inutili che distolgono l’attenzione da quello che è il tema che conta davvero, ovvero il rafforzamento della sanità di prossimità, necessità evidenziata dalla pandemia di Covid”.
Mandelli si dice d’accordo con il ministro Schillaci in ordine alla necessità di una regolamentazione accurata delle diagnostica in farmacia: “Ben vengano tutte le misure volte a garantire la massima qualità e sicurezza delle prestazioni che eroghiamo a favore dei cittadini che ogni giorno a noi si rivolgono per avere risposte alle loro esigenze di salute” ha affermato il presidente dei farmacisti, precisando però che “serve comprendere i criteri” che saranno usati.
Per contro, Mandelli ha respinto con decisione le bordate ad alzo zero sparate contro il sistema Poct: “Gli apparecchi sono spesso gli stessi utilizzati negli ospedali, quindi è inutile puntare il dito contro i farmacisti, che fanno formazione in questo senso dal 2005”.
Come dire, insomma, che le critiche sollevate fin qui sono in larga parte pretestuose. Ma proprio per questo, probabilmente, con ogni probabilità sono destinate a durare ed essere rilanciate alla prima occasione. Un punto di svolta sarà rappresentato proprio dalla “regolamentazione” già annunciata dal ministro Schillaci che dovrà garantire anche per la diagnostica in farmacia standard di alta qualità: si può scommettere fin d’ora che le nuove regole (sempre che arrivino…), a qualcuno certamente non andranno bene, fossero anche le migliori possibili.