Roma, 3 settembre – Le risultanze di uno studio della Washington University School of Medicine di St. Louis (pubblicato nello scorso mese di luglio sugli Annals of Neurology) potrebbe aprire nuove prospettive sulle modalità di diagnosi differenziale della sclerosi multipla (Sm)e delle patologie neurologiche degenerative come la malattia di Alzheimer.
La ricerca statunitense ha infatti concluso che per i pazienti affetti da Sm le possibilità di sviluppare la demenza tipo Alzheimer sono estremamente ridotte, a seguito di un’intuizione di una componente del team di ricerca, Anne Cross (nella foto), medico esperto di sclerosi multipla (malattia di cui soffre lei stessa), accortasi che nessuno dei suoi pazienti, nonostante l’età per poter sviluppare una demenza senile e in alcuni casi con storie di Alzheimer in famiglia, mostrava segni di declino cognitivo. In altre parole, Cross aveva osservato che nessuno dei suoi malati, pur avendo una malattia neuro-degenerativa come la Sm, presentava i segni dello sviluppo di una demenza senile.
Partendo da questa osservazione, un team di ricercatori del Dipartimento di Neurologia della Washington University coordinato da Matthew R. Brier ha avviato le sue ricerche impiegando un test approvato dalla Fda (PredictivityAD2) che riesce a rilevare la presenza di beta-amiloide nel sangue, processo che in precedenza era possibile solo osservare nel cervello tramite esami Tc o Rmn o prelievo del liquido spinale. I ricercatori hanno seguito una coorte di 100 pazienti con sclerosi multipla, 11 dei quali hanno anche fatto la Pet cerebrale, mettendoli a confronto con 300 soggetti normali esenti ad qualunque malattia neurologica, simili però per età e fattori di rischio. Ebbene, meno del 50% dei pazienti con Sm avevano una patologia basata sull’amiloide, come rilevato dall’analisi ematica, risultato in perfetto accordo con l’ipotesi iniziale che coloro che hanno la sclerosi multipla sono meno inclini a sviluppare una patologia tipo Alzheimer.
Non è ancora interamente chiaro come l’accumulo di amiloide si leghi allo sviluppo di demnza senile, ma l’organizzazione delle placche è uno degli eventi iniziali o fondamentali. I ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis hanno anche rilevato che più tipica della storia dei pazienti con Sm era (in termini di età di comparsa) la severità e la progressione complessiva della malattia, minore era la possibilità di trovare placche amiloidee seppur sporadiche. Questo suggerisce che qualcosa della natura “intrinseca” della sclerosi multipla protegge dalla comparsa di Alzheimer.
Proprio questo sarà il prossimo terreno di indagine del team di ricercatori. I pazienti con Sm hanno in genere ricadute multiple (flare-up) nel corso della loro patologia, durante le quali il sistema immunitario attacca la mielina. È possibile che con questo meccanismo, invece, la formazione delle placche amiloidee venga inibita. Ovvero, che quando la patologia amiloidea nell’Alzheimer si sta sviluppando, i pazienti con Sm abbiano un grado di infiammazione nel loro cervello che venga spronato dal loro sistema immunitario: la microglìa (le cellule della glìa che si occupano della prima e principale difesa immunitaria attiva nel sistema nervoso centrale) risulterebbe attivata in caso di Sm, ripulendo le placche amiloidee nel cervello come visto nei modelli animali.
Il team di ricerca della Washington University School of Medicine hanno avviato una start-up basata sul test PredictivityAD2 per ulteriori sviluppi della scoperta.