Roma, 5 settembre – Sembra quasi incredibile, dopo anni di totale assenza di segnali. Ma, incredibile dictu, si riaccende il motore della trattativa tra le rappresentanze delle farmacie private e pubbliche (Federfarma e Assofarm) e quella di parte pubblica, ovvero la Sisac, la Struttura interregionale Sanitari convenzionati cui sono delegati gli accordi collettivi nazionali.
Le parti si incontreranno infatti questa mattina a partire dalle 10 a Roma, nella sede della stessa Sisac di via Barberini a Roma, per un primo confronto sul documento integrativo dell’Atto di indirizzo, il documento che formalizza le proposte di parte pubblica sul nuovo accordo convenzionale, dopo la sua approvazione (comunicata a Sisac lo scorso 8 agosto insieme all’autorizzazione a convocare le delegazioni di parte pubblica e sindacale) da parte del Comitato di Settore Regioni-Sanità.
Impossibile fare previsioni sull’incontro, che arriva come già anticipato dopo anni di totale stallo (l’ultimo abboccamento ufficiale aveva avuto luogo nella primavera del 2021). Quel che è certo, alla luce di quanto si legge nella lettera di convocazione dell’incontro odierno, datata 9 agosto 2024, è che la richiesta delle farmacie di stracciare l’Atto di indirizzo originariamente presentato da Sisac e di procedere alla sua riformulazione integrale non ha evidentemente trovato accoglimento da parte del Comitato di settore Regioni Sanità, che si è limitato a predisporre un “documento integrativo”.
Non si può davvero escludere che esso recepisca le richieste avanzate da Assofarm e Federfarma dopo il niet su tutta la linea alle proposte iniziali delle Regioni, ritenute inaccettabili soprattutto in materia di distribuzione per conto, indennità di residenza per le farmacie rurali e remunerazione della farmacia dei servizi.
Per quanto riguarda la Dpc, le sigle delle farmacie tengono il punto sulla proposta di limitarla – con norma valida per tutte le Regioni – ai soli farmaci dell’elenco Pht e qualche segnale positivo in questa direzione era in effetti arrivato dall’ultima legge di bilancio. Ma le stesse Regioni di centrodestra, alla prova dei fatti, sembrano tutt’altro che intenzionate a rinunciare a uno strumento di governo della spesa farmaceutica regionale rivelatosi nel tempo, se così si può dire, efficace e flessibile anche in relazione alle esigenze di contenimento dei costi, senza dover sottostare alle “rigidità” di liste di farmaci compilate e calate dall’alto.
Non meno inconciliabili le posizioni sull’indennità di residenze: al netto di tutti i “bla bla” sulla necessità di profondere il massimo impegno per impedire la desertificazione sanitaria nelle aree marginali del Paese, al momento dei fatti la proposta dell’atto indirizzo della nuova convenzione era quella di concedere i supporti economici alle sole farmacie rurali con fatturato iva annuo sotto la soglia dei 600 mila euro, cosa che (se approvata) lascerebbe senza contributi vitali una parte rilevante di farmacie rurali, con quali risultati per l’assistenza è facile immaginare.
Molto lontane anche le posizioni sulla remunerazione della farmacia dei servizi, con la proposta delle Regioni (ritenuta inaccettabile dalle farmacie) di utilizzare come paradigma di riferimento i valori massimi del nomenclatore della specialistica ambulatoriale, prevedendo successive integrazioni contrattate con accordi a livello regionale. Ipotesi andata a sbattere contro il secco vade retro Satana delle farmacie, che i i compensi per la farmacia dei servizi vogliono fissarli sulla base di indicatori reali e specifici, considerando quindi realtà come tempo necessario per effettuare la prestazione, costi del personale e vie elencando.
L’incontro di oggi potrebbe rivelare (ma non è poi detto: le relazioni tra Sisac e farmacie hanno alle spalle un’ormai consolidata consuetudine di comunicazioni difficili, che non avrebbero sfigurato in qualche rarefatta sequenza di Antonioni) se e quanto l’atto integrativo con il quale il Comitato Sanità Regioni ha inteso rispondere alla richiesta tranchant avanzata dalle farmacie di riformulare l’Atto di indirizzo contenga elementi utili a reimpostare le trattative e, finalmente, avviarle. Hoc est in votis, ovviamente, dal momento che – a voler ridurre la questione alla sua essenza – l’accordo convenzionale è il “contratto di lavoro” che lega le farmacie e il Ssn. E. dopo decenni, sarà ben ora di firmarlo e ristabilire una sana fisiologia dei rapporti: chissà cosa direbbe, il famoso marziano di Flaiano, se tornasse a capitare in Italia e si imbattesse nella bizzarria fantascientifica di più di ventimila presidi sanitari e svariate decine di migliaia di professionisti che lavorano quotidianamente per il servizio sanitario pubblico senza un contratto…