Roma, 12 settembre – Indignazione e sconcerto: questi i sentimenti espressi dal presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli (nella foto), dopo le ennesime aggressioni subite dal personale sanitario all’ospedale di Foggia, seguite alle invereconde scene da Far West della settimana scorsa, quando 50 persone sono entrate in ospedale e una ventina hanno fatto irruzione in sala operatoria, costringendo medici e infermieri a barricarsi in una stanza.
A stretto giro, sono seguiti nell’arco di poche ore due nuovi episodi di violenza: un uomo con un braccio ingessato si è scagliato contro due infermieri e un vigilante, mentre accompagnava il padre che attendeva di essere visitato, e un giovane, poi arrestato in flagranza, ha aggredito tre infermieri con calci e pugni.
“Basta, non se ne può più! O il Governo e la Regione intervengono subito, o si chiuda l’ospedale. I medici e gli infermieri sono là per lavorare, per salvare vite: non sono bersagli mobili, punching ball pronti a essere colpiti più volte al giorno” ha protestato Anelli, chiedendo un intervento immediato.
“Mandate l’esercito, mandate chi volete” ha detto con comprensibile ma i medici devono essere protetti, devono lavorare in sicurezza, con serenità, devono uscire di casa senza chiedersi se rientreranno a fine turno. Cosa stiamo aspettando? Se non si riesce a garantire la loro incolumità, meglio chiudere l’ospedale. Non possiamo attendere che succeda, ancora, l’irreparabile”.
“Per quanto riguarda le forze politiche” ha quindi concluso il presidente dei medici “abbiamo apprezzato che ci sia stata un’ondata di indignazione trasversale, che ha portato a interrogazioni e progetti di legge. Ma non possiamo aspettare, non abbiamo più tempo: al Governo chiediamo un decreto-legge che sani, con urgenza, questa situazione, che è diventata ormai insostenibile in tutta l’Italia”.
Una richiesta accorata, supportata dalle dichiarazioni aggiuntive del presidente dell’Ordine dei Medici di Foggia, Pierluigi De Paolis, che lancia l’allarme sugli effetti dell’ondata di violenze contro i camici bianchi, su tutti quello di una accelerazione del fenomeno della desertificazione professionale dei presidi sanitari: “La violenza inaudita nei confronti dei medici e degli operatori sanitari è un segnale gravissimo. Il nostro servizio sanitario nazionale è a rischio collasso: i medici più anziani possono decidere da un momento all’altro di dimettersi dai propri incarichi, i medici giovani non accettano borse di studio nelle scuole di specializzazione che comportano più rischi da un punto di vista di violenze e di denunce”.
Insomma, chi può farlo in ragione dell’età abbandona il campo, gli altri per il loro futuro scelgono accuratamente le specializzazioni meno esposte al pericolo di aggressioni (che, per inciso, nei tre quarti del casi riguardano personale femminile), con la preoccupante prospettiva che aree fondamentali del sistema ospedaliero come i Pronto soccorso, la Medicina d’emergenza-urgenza e le aree di degenza e i servizi di psichiatria, già oggi alle prese con problemi d’organico, finiscano per svuotarsi di personale. Con quali conseguenze, è fin troppo facile prevederlo.