Roma, 10 ottobre – Evidentemente anche in materia di sanità si possono dire le cose per come sono, senza stare troppo a preoccuparsi delle convenienze politiche, degli interessi di parte o più banalmente della ricerca di consensi, ma anche senza indulgere in “bartalismi” (“Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”) che non approdano a nulla. Lo ha fatto l’assessore alla Sanità della Regione Sardegna, Armando Bartolazzi (nella foto) nel suo intervento ai lavori d’apertura dell’82° congresso nazionale della Fimmg, la Federazione Italiana dei medici di medicina generale, in programma fino al 12 ottobre a Villasimius, dicendo sul più esecrato e odiato simbolo della sanità che non funziona, ovvero le liste di attesa che non finiscono mai costringendo i cittadini a rivolgersi alla sanità privata pagando di tasca propria (se lo possono fare), oppure condannandoli, se privi di risorse, a non curarsi, con tanti saluti all’art. 32 della Costituzione, una cosa tanto semplice quanto veritiera: “non possono essere abbattute“.
Quel che si può e deve fare, anziché ostinarsi a fare promesse impossibile, ha detto l’assessore, è “governarle a partire dal territorio. Sul ruolo dei medici di medicina generale e sulla loro capacità di intercettare i nuovi bisogni tra ambito territoriale e ospedaliero si gioca la sostenibilità del Sistema sanitario nazionale”.
A significare che in una “macchina” complessa e costosa come il Ssn, caratterizzato da irrinunciabili principi fondativi di caratterizzato dai principi di universalità, eguaglianza ed equità, i problemi non si risolvono con le facili promesse, né ancor meno a colpi di inesistenti bacchette magiche: c’è bisogno di risorse sufficienti (e sappiamo che purtroppo non ce ne sono abbastanza, o comunque si preferisce da anni destinarle ad altre poste di spesa) e c’è bisogno che ogni risorsa disponibile venga utilizzata al meglio sul territorio, senza dispersioni e inefficienze, cosa possibile solo con il pieno e responsabile coinvolgimento dei professionisti e dei presidi sanitari della prossimità (Bartolazzi ha fatto riferimento ai soli Mmg, visto il contesto, ma il discorso può ovviamente essere applicato anche a farmacie e infermieri).
Il dato di partenza non può che essere la realtà e la realtà, come ha ricordato Bartolazzi, è che “la Sardegna è una Regione molto complessa dal punto di vista orografico e con una demografia via via sempre più dispersa all’interno dei territori (caratteristiche peraltro comuni alla maggior parte delle altre Regioni). Questo dato strutturale va a intrecciarsi con l’evoluzione della professione medica e delle relative risposte di cura verso i pazienti. Oggi la medicina utilizza sempre più i big data e la tecnologia, intrecciando biologia e statistica e sfruttando le potenzialità del digitale”.
Occorre per l’assessore regionale rendere la professione del medico di medicina generale “nuovamente attrattiva per i giovani, non soltanto prevedendo incentivi economici, ma anche rinnovando i corsi e le materie di studio. In Europa i corsi di specializzazione si fanno e possono essere seguiti part time: quella è la direzione da seguire”.
Un medico di famiglia, spiega Bartolazzi, deve poter prendere in carico il proprio assistito, “offrendo test diagnostici rapidi, elettrocardiogramma, ecografie, radiografie. Solo così riusciremo a rilanciare il ruolo”. Un rilancio che si tradurrebbe anche in una maggiore capacità di attrazione della professione dei giovani che oggi, invece, la disertano, con effetti paradosso. Uno, in Sardegna, arriva proprio dalle liste d’attesa: per apportare miglioramenti al sistema, ha detto Bartolazzi, “le risorse ci sono (13 milioni, NdR) ma mancano i medici. Bisogna cercare di lavorare tutti insieme, per implementare i servizi ai cittadini, e questo significa rilanciare innanzitutto la medicina territoriale, la specialistica ambulatoriale; i fondi ci sono, le risorse economiche ci sono, ma mancano le persone. Non possiamo clonarle le persone, dobbiamo attrarle”.
Ed è ovvio che dal rilancio del ruolo dei Mmg – ma vale anche per il ruolo di farmacie e farmacisti, infermieri e gli altri professionisti e presidi della sanità pubblica – dipende il rilancio del Ssn, che attende solo mattoni per puntellare il suo traballante edificio. Mattoni che, in prima battuta, non possono che essere portati proprio da chi la sanità “la fa” ogni giorno con il suo lavoro, assicurando quell’assistenza che – dalle Alpi a Capo Lilibeo – ha fatto della nostra sanità pubblica la più grande conquista civile e sociale nella storia del nostro Paese.
Servono solo scelte politiche che, al di la di ogni possibile ideologia o convenienza, mettano il “popolo della sanità” nelle condizioni di continuare a portare mattoni e metterli là dove vanno messi, anziché sognare di andarsene. Non è facile, per quelle che, soprattutto da una cinquantina d’anni a questa parte, sono diventate la cultura e le abitudini della nostra classe politica, ma è semplicemente e (verrebbe da aggiungere) drammaticamente quello che serve. Possiamo farcela.