Roma, 26 novembre – Nonostante i numerosi e ricorrenti avvisi di esperti ed autorità a non abbassare la guardia, è un dato di fatto che ormai di Covid non si parla quasi più e sono sempre meno le persone che se ne occupano e preoccupano. Il fatto è – e ci si perdoni il paragone un po’ eterodosso – che il Sars CoV 2 è un po’ come la politica: tu non te ne occupi, ma lui si occupa di te. E potrebbe presto tornare a farlo molto pesantemente: a Natale o giù di lì, infatti, potrebbe arrivare una recrudescenza di infezioni a causa delle ultime “vesti” indossate dal coronavirus, quelle di XEC, variante del lignaggio Omicron alla quale il prestigioso Jama ha dedicato un focus il 22 novembre scorso, spinto dal purtroppo fondato timore che quest’ultima mutazione sia “destinata a dominare l’ondata invernale” di Covid.
“Ricombinante di discendenti di Omicron”, evidenzia l’articolo di Jama firmato da Rita Rubin, redattore capo della rivista responsabile della sezione Medical News & Perspectives, XEC non sembra discostarsi troppo dalle varianti a cui mirano gli ultimi vaccini Covid (JN.1 e KP.2). Secondo i ricercatori che se sono occupati, “sono molto simili”, come afferma ad esempio Nicole Doria-Rose (nella foto), capo della sezione Antibody Immunity al Vaccine Research Center del National Institute of Allergy and Infectious Diseases. “XEC presenta solo 4 cambiamenti di aminoacidi sia rispetto a JN.1 che a KP.2″.
In ordine alla nascita della variante XEC, si ritiene che la ricombinazione avvenga di solito in una persona immunodepressa, infettata contemporaneamente da più varianti di Sars-CoV-2, come sostiene l’epidemiologo Bill Hanage (nella foto), direttore associato del Center for Communicable Disease Dynamicsdell’Harvard TH Chan School of Public Health. L’ipotesi, dato che XEC è stata rilevata per la prima volta in Germania il 7 agosto, è che – vista tempistica e luogo dell’identificazione iniziale – possa essere emersa in un tifoso che ha assistito al torneo di calcio Euro 2024, tenutosi da metà giugno a metà luglio negli stadi di tutta la Germania, ragiona Hanage. Sebbene “non sapremo mai esattamente dove è successo” ha detto lo scienziato “eventi come questo offrono sicuramente opportunità per l’affermarsi di nuove varianti”. Oppure, XEC potrebbe essere nata alle Olimpiadi di Parigi, iniziate a fine luglio, interviene Doria-Rose, che facendo eco ad Hanage aggiunge comunque un lapidario “Non lo sapremo mai”.
Il luogo di nascita, secondo gli esperti, alla fine non è di grande rilevanza. Quel che rileva, invece, è che XEC ha preso piede in tutto il mondo: già nella seconda settimana di ottobre costituiva circa il 17% delle sequenze Sars CoV 2 a livello globale, in aumento rispetto al 9% circa della settimana conclusasi il 22 settembre, almeno secondo l’Oms. Tra quei due periodi, XEC è cresciuta nelle Americhe, in Europa e nel Pacifico occidentale. È considerata da fine settembre una variante sotto monitoraggio per l’Oms, il che significa che le autorità sanitarie pubbliche dovrebbero tenerla d’occhio nel caso in cui diventasse una minaccia più grande di altre varianti circolanti. Negli Stati Uniti, il sistema nazionale di sorveglianza genomica l’ha sequenziata per la prima volta nella seconda metà di agosto. Al 9 novembre, i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) stimavano che fosse al 28%, in aumento rispetto al 17% delle due settimane precedenti.
Sebbene XEC potrebbe non aumentare così rapidamente come suggeriscono le stime Cdc, “sarà responsabile di una parte sostanziale della trasmissione che vedremo nelle prossime settimane” prevede Hanage. “Penso che ci siano buone probabilità che diventi la variante dominante”. Ma gli esperti non prevedono che causi sintomi peggiori delle altre varianti attuali o comprometta la capacità degli ultimi vaccini Covid di prevenire la malattia grave. “Non ci sono prove che stia rendendo le persone più malate” puntualizza l’epidemiologo statunitense. Negli anni precedenti, Covid è salito dopo le Feste di dicembre. Difficile però dire stavolta come andrà, dicono gli esperti. XEC non è la prima variante ricombinante ed è improbabile che sarà l’ultima.
La ricombinazione “aiuta il virus a mutare più velocemente”, precisa Doria-Rose. E questo può rivelarsi vantaggioso, poiché aumenta la trasmissibilità e l’evasione immunitaria, sottolinea in una e-mail il virologo Kei Sato, professore all’Istituto di scienze mediche dell’Università di Tokyo (nella foto). Entro la fine del 2022, erano state designate 60 varianti ricombinanti di Sars CoV 2; alcune hanno viaggiato per il mondo, mentre altre sono rimaste cluster locali. Tuttavia, avvertono gli studiosi, rilevare, monitorare e rispondere alle nuove varianti ricombinanti è diventato più difficile, anche a causa della diminuzione dei sequenziamenti in tutto il mondo dopo la fine delle emergenze di sanità pubblica. “Non stiamo più spendendo soldi per questo” osserva Doria-Rose a proposito della sorveglianza genomica.
Riguardo al profilo di XEC, Sato osserva che praticamente ogni anno si verifica un evento importante nell’evoluzione della variante Omicron. “Non sono ancora sicuro che il grande evento del 2024 sia XEC” precisa però nella sua email lo scienziato giapponese. Lo scorso 6 novembre, Sato ha pubblicato insieme ad altri coautori una lettera di ricerca su The Lancet in cui si illustravano le caratteristiche virologiche di XEC. Gli autori hanno stimato il numero di riproduzione effettiva (quante persone suscettibili possono essere infettate da un singolo individuo): negli Usa risulta che sia superiore del 13% rispetto a quello di KP.3.1.1, la variante predominante nel mondo a inizio novembre. “Penso che il livello di attività di neutralizzazione tramite infezione naturale stia diminuendo” ha detto Sato a Jama Medical News, spiegando che sta ora studiando insieme ai suoi collaboratori gli anticorpi neutralizzanti nei sieri di chi ha ricevuto i vaccini Covid 2024-2025.
Se in ogni caso il Covid per la maggior parte delle persone sane è ormai diventato una malattia più lieve, continua a provocare più ricoveri dell’influenza, si precisa nel focus evidenziando la necessità di continuare a fare attenzione ai più fragili.