Roma, 29 novembre – La salute mentale è uno dei (purtroppo) tanti capitoli critici della nostra sanità pubblica, che fa molta difficoltà a offrire cure e supporto adeguati a chi soffre di problematiche psichiche di rilievo clinico e alle loro famiglie. Se ne è parlato al Forum Sistema Salute tenutosi a Firenze a metà novembre alla Stazione Leopolda di Firenze, dove – dal confronto tra operatori ed esperti – è emerso una volta di più come il nostro sistema sanitario non riesca a far fronte a un problema che non è solo sanitario, ma anche sociale.
L’area della salute mentale è infatti quella più esposta alle disomogeneità interregionali e sulla tenuta dei Dipartimenti di salute mentale pesano nuove domande di assistenza (persone che usano sostanze, autori di reato con disturbi psichiatrici, migranti esposti a traumi multipli) che richiedono nuove competenze e nuovi modelli di intervento. Su una situazione già estremamente complessa e purtroppo deficitaria, almeno in termini di adeguatezza dei servizi e di risposta ai bisogni dei cittadini, pesano poi interrogativi politico-istituzionali preoccupanti: cosa accadrà se e quando la riforma governativa che prevede l’autonomia differenziata per le Regioni troverà applicazione? Saranno perfezionati quei meccanismi di monitoraggio e perequazione che avrebbero dovuto contrastare le incoerenze di sistema o, al contrario, si assisterà a una radicalizzazione delle differenze?
“A fronte di circa 750.000 persone che afferiscono ogni anno ai nostri servizi su tutto il territorio nazionale le stime nazionali e internazionali ci dicono che vi sono almeno 2 milioni di persone che avrebbero necessità di supporto e che potrebbero giovarsi del nostro intervento ma non hanno accesso ai servizi” ha affermato ad esempio Fabrizio Starace (nella foto), docente di Psichiatria sociale all’Università di Modena e Reggio Emilia e presidente della Società italiana di Epidemiologia psichiatrica (Siep), oltre che direttore del Dipartimento di Salute mentale e dipendenze patologiche dell’Ausl di Modena, fornendo una dato quantitativo utile a comprendere la rilevanza del problema, poi approfondito insieme a Fabio Lucchi, direttore del Dipartimento Salute mentale dell’Ausl Bologna. “Questo accade per i pregiudizi che ancora pervadono il mondo della salute mentale ma anche per le liste d’attesa, rese più lunghe dalla carenza di personale, e per le conseguenti difficoltà nel rivolgersi a un operatore dei servizi pubblici in grado di effettuare una diagnosi e un trattamento appropriato”.
In Italia, ha proseguito il docente, “il tabù della salute mentale è ancora molto diffuso. C’è poi una assoluta carenza di campagne locali e nazionali per combattere lo stigma, al contrario di altri Paesi come per esempio il Regno Unito che ha investito milioni di sterline per campagne nazionali che hanno coinvolto addirittura i membri della Casa reale”.
Per Starace servirebbero “campagne nazionali, con largo uso dei principali mass media e campagne a livello locale, che facciano leva sulle caratteristiche proprie di una specifica comunità su cui è possibile intervenire per combattere lo stigma. Il modo più efficace è quello del contatto sociale ossia avere a che fare in un contesto pubblico con persone che hanno attraversato il problema della salute mentale e ne sono uscite con successo. È questo – ha concluso Starace – il principale strumento per abbattere pregiudizi e tabù sull’inguaribilità, la pericolosità, l’imprevedibilità delle patologie mentali”.