Roma, 29 novembre – La buona notizia è che, secondo quanto registra il Rapporto Svimez 2024 presentato ieri, la crescita del Mezzogiorno è stata superiore a quella del Centro Nord per il secondo anno consecutivo (+0,9% contro +0,7% di Pil; ma lo scarto favorevole è sensibilmente diminuito rispetto al 2023, quando il Pil del Sud era cresciuto quasi un punto percentuale sopra la media del Centro-Nord).
La cattiva notizia, invece, è che nelle Regioni meridionali la sanità pubblica arranca e non è più in grado di assicurare la necessaria assistenza e copertura ai bisogni dei cittadini, in primo luogo per colpa (rileva il report di Svimez) di un finanziamento della spesa del tutto insufficiente, al netto di tutte le chiacchiere e polemiche molto strumentali su chi, al riguardo, abbia fatto meglio (o peggio) di chi.
Secondo il Rapporto Svimez, la realtà dei fatti dice chiaramente che l’approccio della finanza pubblica, che prevede aumenti della spesa netta, è del tutto inadeguato, perché si tratta di aumenti che non bastano nemmeno “a garantire l’invarianza della spesa sanitaria in quota di Pil, prevista in diminuzione dal 6,0% del 2025 al 5,9% del 2027”.
Prima e più ancora che una “questione meridionale”, il sotto-finanziamento della spesa per la salute è insomma un problema strutturale di carattere nazionale: la spesa per abitante in termini reali, spiega Svimez, è cresciuta solo del 5% tra il 2002 e il 2019, ovvero tre volte di meno del +15% in Germania e la metà del +10% della Spagna, ed è tornata nel 2023 a un valore di 1.760 euro pro capite, sovrapponibile a quello del 2019. I paragoni in termini assoluti sono impietosi: la spesa pro capite di un cittadino tedesco è di 3.758 euro, quella di un francese di 3.186 e quella di uno spagnolo di 1.918 euro. E forse il Governo, anziché reagire rabbiosamente a ogni critica che evidenzi l’insufficienza dei finanziamenti per la salute pubblica, ripetendo il ritornello che “nessun Governo ha mai messo tanti soldi sulla sanità come questo”, farebbe bene a cominciare a mettere da parte gli slogan per considerare la realtà per quella che è, risolvendosi a prendere decisioni coerenti con le necessità del sistema sanitario pubblico, come peraltro chiede tutto il Paese.
Da questa situazione drammaticamente sfavorevole si può infatti uscire soltanto premendo sull’acceleratore degli investimenti pubblici, spiega il Rapporto Svimez, che – in accordo con i suoi doveri statutari – indica gli ambiti prioritari sui quali intervenire nel Mezzogiorno: le infrastrutture sociali, in particolare i servizi sanitari e la scuola.
Relativamente ai primi (che ovviamente sono il tema di maggiore interesse per il nostro giornale), la situazione è così compromessa da rasentare il default: spesa pubblica sanitaria minore, Lea “ballerini” e non garantiti, distanze da percorrere per ricevere assistenza più lunghe soprattutto per le patologie più gravi, liste d’attesa ancora più lunghe, servizi di prevenzione e cura più carenti, fuga dei pazienti verso altre Regioni, il tutto in quadro di elevato disagio socioeconomico.
“L’ultimo monitoraggio sui Lea per il 2022 evidenzia che, con l’eccezione di Puglia e Basilicata, le regioni del Mezzogiorno sono inadempienti: in almeno uno dei tre ambiti di assistenza (prevenzione, distrettuale e ospedaliera) non raggiungono il punteggio minimo di 60 su una scala tra 0 e 100” rileva Svimez nel suo rapporto. “Al Sud più che nel resto del Paese, alla strutturale sotto-dotazione di risorse si associano maggiori difficoltà di adempiere ai Lea. Escludendo dai criteri di allocazione i fattori socioeconomici che impattano sui fabbisogni di cura e assistenza, il riparto regionale delle risorse per la sanità penalizza i cittadini delle regioni del Mezzogiorno. La presa in conto di questi fattori (povertà, istruzione, deprivazione sociale) renderebbe la distribuzione del finanziamento nazionale tra Ssr più coerente con le finalità di equità orizzontale del Ssn”.
Prevenzione e cura sono gli ambiti dove il divario tra il Nord e il Sud del Paese è particolarmente evidente. La media nazionale di accesso agli screening mammografici a cadenza biennale, paradigma classico dei servizi di prevenzione, è stata nel biennio 2022- 2023 abbastanza soddisfacente, sette donne italiane su 10 nella fascia di età 50-69 anni (cinque su 10 nell’ambito di un programma organizzato). Ma, grattando sotto la superficie, si scoprono differenze territoriali rilevanti, quando non abissali: se in Friuli-Venezia Giulia, prima Regione per copertura, accedono allo screening nove donne su 10 (quasi 7 nell’ambito di un programma organizzato), in Calabria la percentuale precipita a 2 donne su 10, soltanto una su 10 nell’ambito di un programma organizzato.
Del resto, lo squilibrio delle situazioni dei diversi Ssr è certificato dai flussi di mobilità sanitaria interregionale, diventati praticamente strutturali lungo la direttrice Sud-Nord. La presenza nelle Regioni settentrionali di centri di eccellenza per patologie specifiche e, più in generale, di un’assistenza sanitaria ritenuta comunque dai cittadini qualitativamente migliore rispetto a quella erogata dai sistemi sanitari regionali del Sud e quindi infinitamente più attrattiva, determina un robusto flusso di “viaggi della speranza” dei cittadini del Sud verso le strutture sanitarie del Centro e del Nord.
Nel 2022 la mobilità passiva ha interessato globalmente in Italia 629mila pazienti, rileva il Rapporto Svimez, il 44% dei quali residente in una Regione meridionale. Per contro, “solo” 98mila pazienti di altre Regioni (il 15% della mobilità sanitaria complessiva) si sono spostati al Sud per farsi curare. Il flusso migratorio per ragioni sanitarie riguarda anche i malati oncologici: quelli residenti al Sud che ricevono cure in strutture sanitarie del Centro-Nord sono 12.401, circa il 20% dei pazienti oncologici meridionali. Questo nonostante al Sud non manchino davvero strutture di grande qualità e affidabilità, grazie a progetti come la Rete Oncologica Campana, che costituito un network tra centri oncologici di riferimento polispecialistici con funzioni diagnostico-stadiative, terapeutiche e di follow-up oncologico, hospice e reparti/ambulatori di terapia del dolore e centri di riferimento regionali con attività specifica in campo oncologico, offrendo così ai ai pazienti una rete qualificata di strutture qualificate alle quali rivolgersi secondo le diverse necessità del momento, nella certezza di poter contare su eccellenze come – per fare un esempio – l’Irccs Pascale di Napoli. Si tratta di un modello, secondo Svimez, sul quale vale la pena di investire, replicandolo in altre Regioni per rafforzare l’offerta di percorsi di cura territorialmente omogenei, riducendo così le diseguaglianze nell’accesso alle cure.
In materia di assistenza domiciliare, ambito nel quale i driver sono gli investimenti su case e ospedali di comunità previsti dal Pnrr, Svimez rileva che lo stato di attuazione delle misure previste dal Piano per potenziare l’assistenza territoriale è “in linea con gli obiettivi nazionali per l’assistenza domiciliare”, sia pure con ritardi che al Sud destano qualche preoccupazione. In particolare, quattro Regioni non hanno raggiunto il target assegnato: Calabria, Sardegna, Campania e Sicilia. A destare le maggiori preoccupazioni è la Sicilia, il cui ritardo (appena 200 pazienti aggiuntivi raggiunti dall’Adi invece dei 39.121 previsti al 2023) potrebbe mettere a rischio il conseguimento del target nazionale finale, che è quello di aumentare il volume delle prestazioni rese in assistenza domiciliare fino a prendere in carico, entro la metà del 2026, almeno il 10% della popolazione over 65 anni (in linea con le migliori prassi europee), ovvero più del doppio della media attuale tra le diverse Regioni, di poco inferiore al 5%.
Svimez evidenzia, sempre con riferimento all’assistenza domiciliare, che sarà necessario trovare le opportune risorse per mantenere nel tempo l’obiettivo del 10% della popolazione assistita over 65 entro il 2026 e soprattutto garantire continuità all’assistenza agli ulteriori 883mila anziani che si prevede ne beneficeranno grazie alle risorse del Pnrr.
Un discorso sostanzialmente analogo può essere fatto per il pieno ed efficace funzionamento delle infrastrutture sanitarie del territorio, che – evidenzia Svimez – dovranno essere dotate del personale sanitario necessario a garantirne il funzionamento, evitando il rischio di rimanere scatole vuote. E, al riguardo, il rapporto Svimez sottolinea una precisa criticità: l’assenza di stanziamenti addizionali e di una riserva esplicita rendono nei fatti incerta l’autorizzazione di spesa prevista dalla Legge di bilancio, a valere sul finanziamento del Sistema sanitario nazionale.
♦ Rapporto Svimez 2024 – L’economia e la società del Mezzogiorno