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mercoledì 12 Febbraio 2025
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Rapporto Oasi Cergas: sanità italiana, servono 40 miliardi per arrivare ai livelli dell’Europa

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Roma, 5 dicembre – Può un Paese sempre più vecchio (il secondo più anziano al mondo, secondo le classifiche internazionali) avere sempre meno finanziamenti per la sanità? Le due cose, in tutta evidenza, non si tengono, e lo ha ben evidenziato l’edizione 2024 dell’Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario italiano (Oasi), presentato a Milano il 3 dicembre dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) di Sda Bocconi School of Management  nell’Aula Magna della stessa Università Bocconi, davanti a un folto pubblico di esponenti politici nazionali e regionali, rappresentanti delle aziende sanitarie pubbliche e private e professionisti del settore sanitario.

Il Servizio sanitario nazionale italiano – al netto delle inutili, irritanti e finanche infantili polemiche su “chi abbia messo più soldi di chi” nella posta di spesa per la salute – è da decenni tra i meno finanziati in Europa e oggi dispone di una cifra pari al 6,3% del Pil. Per “mettersi a paro”, come si direbbe a Roma, con i grandi Paesi europei, la nostra sanità pubblica avrebbe bisogno di almeno 40 miliardi, ovvero la metà di quanto oggi il Paese spende annualmente per l’istruzione. La domanda è: in uno scenario come l’attuale (debito pubblico a livelli stratosferici, inverno demografico sempre più gelido e relative proiezioni negative per il welfare, con meno gente al lavoro e sempre più pensioni da pagare), il Paese può permettersi una simile spesa? Probabilmente no, ma se davvero vogliamo continuare ad avere un sistema sanitario solidale e universale, quella è la quantità di risorse che vanno investite, ovviamente ragionando bene prima su come riorganizzare il sistema, dove attualmente le priorità di accesso ai servizi sono spesso casuali, dunque poco efficaci e poco eque, al punto che i consumi delle prestazioni sanitarie variano anche del 100% tra territori simili di una stessa Regione e c’è un forte divario tra quanto prescritto e quanto erogabile.

Come sempre, il rapporto Cergas (giunto alla sua XXV edizione) offre una fotografia dello stato di salute del sistema e propone misure utili alla risoluzione delle principali criticità identificate. L’analisi, elaborata dal gruppo di ricerca coordinato da Francesco Longo, associate professor dell’Università Bocconi e da Alberto Ricci, associate professor of Practice di Sda Bocconi (da sinistra nell’ordine nelle foto) identifica le criticità principali del Ssn che, pur proponendosi come servizio sanitario universalistico, risulta incapace di fare fronte ai bisogni crescenti dei cittadini, in particolare della popolazione cronica (pari al 41% dei residenti) e della popolazione anziana non autosufficiente (4 milioni di persone).

Il confronto internazionale offre uno scenario per noi desolante: Francia, Germania e Regno Unito finanziano i rispettivi sistemi sanitari nazionali destinando importi  tra il 9 e l’11% del Pil, il nostro Paese è da tempo costantemente ancorato intorno al 6,3%, cifra che resterà sostanzialmente invariata nel 2025 e 2026, secondo le previsioni. Contrariamente a quanto si possa pensare, anche la spesa sanitaria privata cresce meno del Pil, e si attesta al 2,2% nel 2024 – circa il 26% della spesa sanitaria complessiva.

Il dato, in sostanziale continuità con gli anni precedenti al Covid-19, porta dritti a una conclusione: in Italia non manca davvero la disponibilità a parlare di salute, meglio se accapigliandosi. Quello che manca è la disponibilità a spendere per la salute, sia pubblicamente sia privatamente.

Il Rapporto Cergas si occupa, inevitabilmente, anche delle liste d’attesa, provando ad approfondirne le cause: attualmente, la mancanza di criteri di priorità di accesso ai differenti servizi e le logiche prescrittive spesso lontane dalle linee guida cliniche aggravano il problema della scarsità di risorse. Per l’accesso ai servizi non si tiene conto di criteri di prioritizzazione quali, ad esempio, aree di patologia, cluster di popolazione per reddito o livello di istruzione, portafogli di tecnologie da includere nel contenuto dei servizi garantiti dal Ssn. Un meccanismo molto importante, ma quasi mai esplicitato, che ha portato il Ssn a prescrivere molte più prestazioni rispetto alla sua effettiva capacità erogativa. Nei territori dove sono maggiori le prescrizioni, spesso sono elevati anche i consumi per abitante, ma cresce anche la distanza tra prescritto ed erogato, con conseguente incidenza sull’allungamento delle liste d’attesa. Inevitabili le conseguenze: l’universalismo dichiarato dal Ssn, con l’idea irrealistica di dare qualsiasi prestazione a tutti in tempi brevi, non essendo governato, finisce per genere un effetto opposto a quello voluto, dal momento che la possibilità o meno di ottenere una prestazione è lasciata di fatto al cittadino, alla sua rete e alle sue risorse personali, generando un senso di disorientamento e impossibilità di programmazione. Questa logica genera inefficienze e diseguaglianze, con risorse allocate senza un chiaro processo di valutazione. Inevitabilmente anche i consumi di prestazioni per abitante risultano disomogenei e non correlati al bisogno epidemiologico, a livello sia nazionale sia regionale e persino locale. I motivi possono essere vari, ma il Rapporto rileva in particolar modo l’attenzione dell’agenda manageriale e di governo non tanto verso le cause di questa disparità di consumo, bensì sulla produttività delle singole strutture sanitarie.

Come  rispondere a queste criticità? Il Rapporto Oasi 2024 individua e percorre quattro prospettive di policy che, introdotte individualmente o in combinazione tra loro, porterebbero a miglioramenti significativi del Ssn e del suo supporto ai cittadini:

  • il primo passo da compiere è governare le aspettative, ovvero esplicitare i limiti del Ssn e ridefinire i criteri di priorità per le prestazioni esigibili per allineare le attese dei cittadini con i livelli di risorse effettivamente disponibili.
  • Bisogna avere il coraggio della efficienza impopolare, ovvero ottimizzare la rete ospedaliera riconvertendo le strutture più piccole e frammentate, ri-orientandole verso i servizi territoriali. Accorpare servizi ambulatoriali e laboratori, soprattutto nelle aree con densità eccessiva di strutture, e intervenire su ospedali di medie dimensioni che non raggiungono i volumi necessari per garantire qualità e sostenibilità. La costruzione o il rinnovo delle case della Comunità rappresenta, per fornire un esempio concreto, una grande opportunità per accorpare servizi territoriali in precedenza dispersi e frammentati.
  • Aumentare davvero le risorse per il Ssn, se occorre guardando anche a strategie già sperimentate in altri Paesi, come l’aumento delle compartecipazioni per alcune prestazioni, oppure l’introduzione di assicurazioni integrative per il loro rimborso, la revisione delle allocazioni di spesa pubblica per aumentare il finanziamento alla sanità.
  • Rivoluzionare la geografia e i formati dei servizi: digitalizzare i servizi sanitari specializzati attraverso la diffusione di strumenti di auto-cura per i pazienti cronici e l’implementazione di sistemi di telemedicina, ad esempio per le visite specialistiche. Ridisegnare i ruoli professionali favorendo la collaborazione orizzontale e una maggiore integrazione tra competenze nuove e ordini professionali tradizionali, ad esempio introducendo figure quali il case manager amministrativo dei servizi per la presa in carico della cronicità.

Lapidaria la conclusione di Longo: “La sanità italiana è a un punto di svolta: siamo ormai il secondo Paese più anziano al mondo, la spesa sanitaria è rimasta costante nel tempo, mentre le esigenze dei cittadini continuano a evolversi e questi si aspettano un servizio sostenibile ed efficiente”  afferma il responsabile scientifico del Rapporto. “La realtà è però sotto gli occhi di tutti: il Ssn presenta evidenti contraddizioni che peggioreranno in mancanza di una rivoluzione nelle logiche di governo del sistema, indebolendo il tessuto delle aziende del Ssn”.

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