Roma, 12 dicembre – La collaborazione fra ricercatori di tre istituti del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) ha permesso di sviluppare un innovativo sistema di nanomedicina per migliorare l’efficacia dei trattamenti del tumore del colon retto e ridurre gli effetti collaterali. Ricercatrici e ricercatori dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti Eduardo Caianiello (Cnr-Isasi), dell’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia Gaetano Salvatore (Cnr-Ieos) e dell’Istituto di genetica e biofisica (Cnr-Igb) di Napoli, hanno dato vita a un gruppo che – con il sostegno di Fondazione Airc per la ricerca su cancro – è pervenuto a risultati di grande interesse sotto il profilo delle prospettive terapeutiche, illustrati in uno studio pubblicato su International Journal of Nanomedicine.
Nel sistema messo a punto si sono utilizzate nanoparticelle ibride composte da diatomite, oro, insieme a un farmaco anticancro, il galunisertib, il tutto incapsulato in una matrice di gelatina. Le nanoparticelle sono state progettate per riconoscere e colpire selettivamente le cellule tumorali che esprimono la proteina L1cam, un marcatore associato alla progressione del tumore e alle metastasi.
“Il nostro nanosistema si basa su un cuore di diatomite, una sostanza porosa derivata dai resti fossili di alghe microscopiche. La sua struttura offre notevoli vantaggi in termini di biocompatibilità e capacità di trasporto di molecole farmacologiche” spiega Ilaria Rea (nella foto), ricercatrice del Cnr-Isasi. A rendere il sistema ancora più efficace è la gelatina che avvolge il farmaco. “Grazie al pH specifico dell’ambiente tumorale” chiarisce al riguardo Rea “la gelatina permette un rilascio mirato del farmaco, aumentando l’efficacia e riducendo al minimo gli effetti collaterali”.
Un altro aspetto sostanziale è la versatilità della diatomite. “Non solo è economica e abbondante” aggiunge la ricercatrice “ma può essere facilmente modificata chimicamente affinché sia in grado di riconoscere in modo specifico le cellule tumorali. Per esempio, si possono aggiungere molecole specifiche sulla sua superficie, come quelle che interagiscono con proteine o recettori dei tumori, facendo così in modo che il farmaco sia rilasciato solo nelle aree cancerose, senza colpire i tessuti sani”. Grazie alla sua elevata porosità e stabilità, la diatomite rappresenta dunque un’alternativa valida e sostenibile ai materiali sintetici tradizionalmente utilizzati in nanomedicina.
Lo studio si è concentrato su L1cam, una proteina altamente espressa in diversi tipi di tumori, incluso il cancro al colon retto, e strettamente associata alla progressione tumorale, alla formazione di metastasi e alla resistenza ai trattamenti convenzionali. “L1cam è una sorta di marchio molecolare delle cellule tumorali più aggressive” spiega Enza Lonardo (nella foto), ricercatrice presso il Cnr-Igb. “Abbiamo scelto questa proteina per garantire che il nanosistema possa riconoscere e colpire selettivamente le cellule tumorali, evitando di danneggiare i tessuti sani”.
Una delle caratteristiche più innovative del nanosistema è l’integrazione con tecniche di imaging che non richiedono mezzi di contrasto, basate sulla spettroscopia Raman amplificata. Questa tecnologia consente di monitorare il comportamento del farmaco e la risposta del tumore senza l’utilizzo di marcatori fluorescenti o radioattivi, che vengono sostituiti da nanoparticelle d’oro.
“L’imaging ‘label-free’ può rappresentare una novità importante nella diagnostica” evidenzia Anna Chiara De Luca (nella foto), coordinatrice del laboratorio di biofotonica del Cnr-Ieos. “La spettroscopia Raman amplificata permette di ottenere un segnale ottico estremamente sensibile, anche in presenza di quantità minime di farmaco. Inoltre questo metodo consente di monitorare in tempo reale il rilascio del farmaco e la sua distribuzione nel microambiente tumorale e simultaneamente fornisce anche dati preziosi per valutare l’efficacia dell’intervento” aggiunge. “Si tratta di un approccio sperimentale che può permettere di rendere più preciso e mirato il trattamento in base alle esigenze specifiche di ogni paziente, aumentando l’efficacia della terapia e riducendo i tempi di risposta”.
Il gruppo di ricerca sta già lavorando per ottimizzare il nanosistema e valutarlo ulteriormente in cellule in coltura ottenute da pazienti e in animali di laboratorio. Inoltre sono in corso collaborazioni con partner internazionali per accelerare la transizione di questa tecnologia dai laboratori alle applicazioni cliniche.
“Il nostro obiettivo è portare questa innovazione nelle corsie ospedaliere il prima possibile” conclude De Luca. “Siamo convinte che questa tecnologia possa migliorare significativamente la qualità della