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mercoledì 12 Febbraio 2025
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Health coverage day, 1,3 miliardi di persone rischiano la povertà per le spese sanitarie

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Roma, 13 dicembre – Ieri – come molto opportunamente ha voluto ricordare l’Istituto superiore di sanità in una nota pubblicata sul suo sito – è stata celebrata la Universal Health Coverage Day, la giornata dedicata alla copertura sanitaria per tutta la popolazione, ovvero un sistema capace di rispondere ai bisogni di salute di tutta la popolazione, in grado di garantire i servizi e le prestazioni necessarie quando e dove le persone ne abbiano bisogno, senza caricarle di costi diretti.

La copertura sanitaria universale (Universal health coverage, Uhc) è uno dei target degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile per il 2030, oltre che un tema fisso, ormai da tempo, delle agende politiche internazionali. Quest’anno l’Oms ha voluto focalizzare l’Uhc Day sul ruolo della protezione finanziaria nel raggiungimento della copertura sanitaria universale. “La protezione finanziaria garantisce che le persone non si impoveriscano a causa del pagamento di tasca propria delle spese sanitarie” si legge sul sito dell’Organizzazione mondiale della sanità. “Negli ultimi 20 anni la protezione finanziaria si è progressivamente ridotta con 2 miliardi di persone in difficoltà economiche e 1,3 miliardi di individui spinti verso la povertà a causa dei costi per la salute che sono costretti a sostenere”.

Con l’occasione, l’Iss ha voluto ricordare alcuni dati scaturiti dalla sorveglianza Passi d’Argento, pubblicati a ottobre 2024, che offrono utili spunti di riflessione sulla situazione della Uhc nel nostro Paese, che meritoriamente ha scelto, poco meno di 50 anni fa, di dotarsi di un servizio sanitario su base universale e solidaristica, che oggi  fatica moltissimo, per troppe e irrisolte criticità, ad assicurare a tutta la popolazione adeguati livelli di assistenza.

Nel biennio 2022-2023, il 18% degli ultra 65enni (2,6 milioni di persone) ha dichiarato di aver rinunciato ad almeno una visita medica o a un esame diagnostico di cui avrebbe avuto bisogno nei 12 mesi precedenti l’intervista. Fra le ragioni principali della rinuncia: le lunghe liste di attesa (nel 55% delle rinunce), le difficoltà logistiche nel raggiungere le strutture sanitarie o la scomodità degli orari (13%) e i costi eccessivi delle prestazioni (10%).

La rinuncia è risultata più frequente fra le persone più svantaggiate, economicamente (39% tra coloro che hanno dichiarato di arrivare a fine mese con molte difficoltà contro il 20% tra chi non ne ha) o per bassa istruzione (24% tra chi ha al più la licenza elementare contro il 19% tra i laureati) e tra gli over65 che risiedono al Centro e al Sud (27% vs 16% tra i residenti nelle regioni settentrionali). Oltre la metà degli intervistati che non ha rinunciato a ciò di cui aveva bisogno ha fatto ricorso a prestazioni a pagamento: il 10% ricorrendo esclusivamente a strutture private e il 49% ricorrendovi alcune volte. Solo il 41% ha utilizzato esclusivamente il servizio pubblico.

Nelle Regioni del Sud si perdono più anni di vita per i tumori della mammella e del colon e i tassi di mortalità, storicamente più bassi nel Mezzogiorno, ora sono paragonabili a quelli del settentrione. Lo afferma il Rapporto Istisan Tumori della mammella e del colon-retto: differenze regionali per mortalità, screening oncologici e mobilità sanitaria dell’Istituto Superiore di Sanità. Secondo il documento, tra le cause di questo fenomeno c’è anche il minore ricorso agli screening: nelle aree dove si partecipa meno a questa forma di prevenzione la mortalità è maggiore e si rileva anche un più alto l’indice di migrazione sanitaria  (il numero di pazienti costretti a spostarsi per potersi operare).

La copertura totale dello screening mammografico disegna un chiaro gradiente Nord-Sud, a sfavore delle Regioni meridionali con la percentuale di adesione che va dal 90% raggiunto in molte regioni settentrionali ad appena il 60% in alcune Regioni meridionali. Nelle Regioni del Nord dove la copertura degli screening è elevata la riduzione di mortalità per tumore della mammella tra il 2001 ed il 2021 è più forte (supera il 35%) rispetto alle Regioni del Sud.

Un andamento simile si ha anche per i tumori del colon: la copertura dello screening per il tumore del colon-retto raggiunge valori più alti fra i residenti al Nord (67%), ma è significativamente più basso fra i residenti del Centro (51%) e del Sud (26%). Nelle regioni del Centro e del Nord dove lo screening è partito prima e con livelli di copertura più elevati (intorno al 70%) la mortalità si è ridotta di circa il 30%, molto più che al Sud (-14% nelle donne e -8 negli uomini).

Per entrambi i tumori il rapporto Iss mostra livelli contenuti di mobilità dei pazienti nel Centro e nel Nord del Paese. Nel Sud comprese le isole sono presenti livelli di mobilità nettamente più alti (circa 3 volte) rispetto al Centro-Nord. Per quanto riguarda il tumore della mammella le Regioni con le coperture di screening più alte presentano indici di fuga più bassi. “Questo dato evidenzia come in Regioni in cui lo screening mammografico raggiunge una buona parte della popolazione femminile target il sistema è anche in grado si prendersi carico dei casi di tumore della mammella che necessitano di un ricovero ospedaliero per intervento chirurgico” sottolineano gli autori del rapporto “mentre questo non è sempre garantito nelle Regioni dove lo screening è ancora lontano dai livelli ottimali. In questo panorama Regioni come Calabria e Molise si distinguono fra quelle con i più bassi livelli di copertura dello screening mammografico e il più alto indice di fuga”.

Anche per il tumore del colon-retto, così come per la mammella, le Regioni con alti livelli di copertura dello screening tendono a presentare livelli bassi dell’indice di fuga, seppure esistano alcune Regioni in controtendenza (Puglia e Campania, bassa copertura e bassa fuga). Si conferma invece per regioni come Calabria e Molise la compresenza di elevati indici di fuga e bassi livelli di copertura dello screening.

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