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mercoledì 12 Febbraio 2025
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Avian flu, studio USA identifica anticorpi umani che potrebbero proteggere da H5N1

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Roma, 28 gennaio – L’influenza aviaria è in questo momento la prima osservata speciale delle autorità sanitarie di tutto il mondo, per il timore che le sempre più frequenti epidemie negli uccelli, i numerosi focolai rilevati in allevamenti di bestiame in molti Paesi (a partire dagli USA) e i primi sia pur rari casi segnalati di recente tra gli uomini (che sempre negli States hanno portato alla morte di un paziente) alla fine producano un salto di specie del virus che potrebbe avere conseguenze catastrofiche.

Sul virus H5N1 si stratificano studi su studi, per capire se davvero può estendersi all’uomo e soprattutto per capire come difendersi se la disastrosa eventualità si verificasse. Da un nuovo studio condotto da ricercatori della Harvard Medical School, del Ragon Institute e della Icahn School of Medicine a Mount Sinai, emergono però risultanze confortanti: la ricerca, pubblicata su Science Immunology, suggerisce infatti che gli esseri umani hanno anticorpi in grado di riconoscere ceppi dell’influenza aviaria altamente patogena H5N1 che colpisce soprattutto uccelli selvatici e domestici.

Gli autori dello studio hanno caratterizzato le cellule B di donatori sani e hanno identificato anticorpi ‘naive’ (che non hanno ancora mai incontrato l’antigene) in grado di riconoscere una regione dell’emo-agglutinina specifica per H5, una molecola di superficie sui virus dell’influenza, e neutralizzare H5N1. Negli Stati Uniti il tema è quanto mai attuale e fonte di preoccupazione, dopo i diversi casi umani di influenza aviaria registrati e documentati nel 2024. Sebbene la trasmissione da uomo a uomo non si sia ancora verificata, precisano gli esperti, alcuni studi hanno previsto che, con solo poche mutazioni nel gene dell’emo-agglutinina (HA), il virus H5 potrebbe evolversi per diffondersi tramite goccioline.

I risultati del lavoro appena pubblicato indicano che però gli esseri umani potrebbero avere anticorpi in grado di proteggere dai virus dell’influenza aviaria potenzialmente pandemici. Per caratterizzare la risposta immunitaria umana all’H5N1, Jared Feldman (nella foto) della Harvard Medical School e i suoi colleghi hanno profilato le cellule B di sette donatori umani sani senza esposizione nota ai virus H5. E hanno identificato le cellule B naive che riconoscevano H5N1 e quelle che erano cross-reattive, cioè che rispondevano sia ad H5 che a una variante stagionale del virus H1N1 (a causa della similarità di sequenza).

In particolare, le cellule B avevano anticorpi contro la ‘testa’ dell’emo-agglutinina di H5N1, o la regione di legame al recettore, e contro lo ‘stelo’, le regioni non di testa dei virus H1/H5. Le cellule B reattive alla testa di H5 erano più frequenti di quelle cross-reattive a H1/H5.

Feldman e colleghi hanno determinato che la maggior parte degli anticorpi reattivi a H5 riconosceva anche altri ceppi patogeni correlati ad H5 che sono attualmente in circolazione.

Ulteriori esperimenti hanno rivelato che gli anticorpi prendevano di mira i siti vulnerabili sulla testa dell’emo-agglutinina di H5 e condividevano somiglianze con anticorpi protettivi isolati da esseri umani infettati e topi immunizzati con H5N1. Infine, gli autori hanno dimostrato che un sottoinsieme di anticorpi poteva neutralizzare H5N1 in vitro.

“Abbiamo identificato anticorpi naive all’interno del repertorio naive umano” hanno spiegato al riguardo i ricercatori “che rappresentano una potenziale difesa di ‘prima linea’ contro un virus pre-pandemico”. Una conclusione rassicurante che dovrà però essere corroborata da ulteriori ricerche e conferme.

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