Roma, 9 dicembre – In un mondo affacciato sul “Grand Hotel Abisso” nel pieno della “età selvaggia, del ferro e del fuoco” che stiamo attraversando, “un’eta di predatori e prede in cui la violenza prende il sopravvento sul diritto internazionale e il grande gioco politico cambia le sue regole, privilegiando ora la sfida, ora la prevaricazione illimitata”, gli italiani cercano “momenti di piccola felicità” e cercano consolazione nei piccoli piaceri, come il turismo esperienziale, indulgendo alla gastronomia e concedendosi (almeno alcuni) una “vita sessuale molto intensa”. Intanto, quasi la metà di loro (46,8%, ma nei più giovani la percentuale sale al 55,8%) aspetta l’apocalisse prossima ventura nella convinzione di non avere più davanti a sé un futuro all’insegna del progresso. E quattro italiani su dieci (38,7%) considerano le democrazie inadeguate a sopravvivere in questa “età selvaggia”, al punto che per andare avanti ritengono non vi sia altra strada che quella di affidarsi “all’alchimia dei godimenti semplici, ai piaceri dell’ordinaria quotidianità”.
Ad asciugarlo fino all’osso e oltre, il compendio del Rapporto Censis 2025 sulla situazione sociale del Paese è tutto in questa sintesi fatta a colpi di scure e non di cesello. Il senso e il significato della ponderosa analisi annuale dell’istituto di ricerca sociale fondato da Giuseppe De Rita è più o meno tutto qui, e offre il ritratto dell’Italia alle prese con uno scenario internazionale da incubo, caratterizzato dalla “crescita vertiginosa dell’indebitamento delle economie avanzate, che le rende fatalmente più fragili e vulnerabili”, dove sono le cifre a tracciare un futuro fatto di prospettive politiche ristrette, nel quale “i governi degli Stati debitori non solo non potranno abbassare le tasse (obiettivo sempre promesso dagli Stati fiscali e puntualmente disatteso), ma saranno sempre più costretti ad adottare politiche di rigore nei conti pubblici, arrivando a un progressivo ridimensionamento del welfare“.
Il sistema di assistenza e servizi, che rappresenta una delle più grandi conquiste del Novecento, potrebbe essere visto come “un fenomeno storico, e come tale non imperituro, bensì suscettibile di cambiamenti nel corso del tempo: può nascere e svilupparsi, ma anche estinguersi”. Ma senza welfare, ammonisce il Rapporto Censis, “le società diventano incubatori di aggressività, e senza pace sociale le democrazie vacillano”.
È alla luce di questo contesto che va letto il 59° Rapporto di quello che resta il più autorevole istituto di ricerca del Paese, che registra le realtà assai dolenti del sistema di protezione sociale del nostro Paese. Rilevando, in primo luogo, che è sempre più povero: tra il primo trimestre del 2011 e il primo trimestre del 2025, la ricchezza delle famiglie è diminuita in Italia dell’8,5%, un crollo che ha colpito soprattutto il ceto medio. Sono così sempre di più i cittadini italiani che hanno paura di non poter usufruire di un sufficiente livello di cure mediche. Per un inevitabile, rovinoso effetto domino cala anche la fiducia nella sanità pubblica, tanto che il 78,5% degli italiani (praticamente 8 su 10) esprime sfiducia nei confronti di servizi sanitari e assistenziali, ritenendo che, se si trovassero in condizione di non autosufficienza, non potrebbero contare su terapie adeguate. Lo stesso timore, peraltro, si estende anche ai rischi ambientali: il 72,3% crede che, in caso di eventi atmosferici estremi o catastrofi naturali, gli aiuti finanziari dello Stato non basterebbero.
Questa consapevolezza di essere in presenza di un sistema di welfare del tutto insufficiente e che in buona sostanza lascia in balia di se stessi, porta il 54,7% degli italiani a dichiarare di essere disposto a destinare fino a 70 euro al mese per tutelarsi dal rischio di non autosufficienza. Il 52,3% pensa di poter ristrutturare i propri consumi, riducendo alcune spese per destinare quanto risparmiato all’acquisto di strumenti assicurativi sulla vita, la salute e la scarsità di risorse. Ma questa asserita disponibilità non si traduce poi in comportamenti concreti coerenti e conseguenti: il 70% degli intervistati, infatti, non sta mettendo in pratica nessun piano. Soltanto il 10,7% si dice pronto a ricorrere a polizze assicurative per affrontare questa eventualità. La maggior parte opta per soluzioni alternative: il 37,2% afferma che “ci penserà se e quando accadrà”, il 34,5% che “ricorrerà ai risparmi”, il 22,0% “conterà sul welfare pubblico”, il 19,9% “sull’aiuto dei familiari” e il 14,7% su “amici e volontari”. Dati che confermano una tendenza piuttosto diffusa alle nostre latitudini, quella di rimandare a domani quel che sarebbe meglio cominciare a fare fin da subito, e a confidare in un qualche stellone.
Il Censis rileva anche come la longevità sia ormai diventata “una silenziosa componente essenziale del welfare informale, inteso come l’insieme delle attività di cura e sostegno economico che si sviluppano al di fuori dei canali istituzionali e del mercato, affidandosi alla rete familiare. A comprovarlo sono i dati: il 43,2% dei pensionati garantisce regolarmente aiuti economici a figli, nipoti o parenti. Il 61,8% ha versato (o ha intenzione di farlo in futuro) un contributo economico a figli o nipoti per sostenere spese importanti, come l’anticipo per l’acquisto della casa.
I longevi italiani peraltro manifestano sobrietà nella gestione delle risorse: il 94,2% è cauto nelle spese e tende a risparmiare per affrontare eventuali malattie o condizioni di non autosufficienza, l’89,7% si dichiara attento nella gestione dei propri risparmi a causa della persistente incertezza economica, l’82,2% esercita un controllo accurato e costante del bilancio familiare, monitorando le entrate e le uscite. Si registra inoltre la disponibilità di molti anziani a restare attivi anche dopo il pensionamento: il 72,6% degli attuali pensionati vorrebbe poter continuare a lavorare, ma senza penalizzazioni fiscali. Tutti dati che denotano molta consapevolezza in ordine alla precarietà del momento attraversato dal Paese (e non solo) e comprovano un’attitudine a mettere in atto per quanto possibile adeguate strategie difensive.
Sempre a proposito del rapporto – diventato sempre più difficile e conflittuale – tra italiani e sistema di salute, il Rapporto Censi 2025 conferma le difficoltà di esercizio delle professioni sanitarie, analizzando in particolare il caso dei medici. Sono 22.049 i casi di aggressioni registrati in un anno ai danni di medici, infermieri e altri operatori sanitari nelle Rregioni italiane. I dati rendono evidente il contesto spesso ostile in cui i medici lavorano. Da un’indagine del Censis risulta che il 66,0% dei medici non ha tempo sufficiente per fornire informazioni e dialogare con pazienti e familiari, il 65,9% esercita la professione in strutture con gravi carenze di personale, il 51,8% è stato costretto a utilizzare attrezzature obsolete o non perfettamente funzionanti. Così, il 91,2% dei medici ritiene che lavorare nel Servizio sanitario nazionale sia diventato più difficile e stressante, il 41,2% non si sente sicuro quando svolge il proprio lavoro a causa del moltiplicarsi degli episodi di violenza, il 18,0% ha paura di lavorare di notte. Al 25,4% dei medici è capitato di subire minacce da pazienti o familiari, il 16,4% ha ricevuto denunce e il 3,8% ha subito violenza fisica. “Sono i segnali di una deriva patologica del rapporto medico-paziente” scrive il Censis, spiegando che agli occhi dei cittadini esasperati “i medici finiscono per incarnare le inefficienze del Servizio sanitario, tanto che il 71,8% dei medici dichiara di sentirsi un capro espiatorio delle carenze del sistema”.
Dal 59° Rapporto del Censis emerge tuttavia, al fondo, l’anima resiliente del nostro Paese che, a suo modo, riesce in qualche modo ad adattarsi anche a questa “età selvaggia, del ferro e del fuoco” che stiamo attraversando. Ma in questo scenario, essere resilienti e restare fermi in mezzo al guado non basta, soprattutto nel campo della salute, dove i problemi sono tanti e di enorme difficoltà, e risolverli richiede una progettualità collettiva e immediata che renda possibile costruire un sistema sanitario in grado di reggere le sfide di un Paese che invecchia, si affida alla famiglia e cerca protezione.
È una via percorribile, in un Paese che esibisce la sua disaffezione nelle scelte pubbliche (si va alle urne sempre di meno e si scende poco in piazza) e crede sempre meno alla politica? Il Censis non dà risposte esplicite, parlando di un ribaltamento dei ruoli nel tradizionale rapporto tra l’élite e il popolo, con la prima che vive questa fase con sgomento mentre per i cittadini “non è scattato l’allarme rosso: l’apocalisse può attendere“.
E, intanto, gli italiani cercano i “momenti di piccola felicità” già ricordati in premessa, consolandosi con i piccoli piaceri che è ancora possibile afferrare. Come se l’apocalisse prossima ventura potesse appunto essere aspettata (e fors’anche esorcizzata) affidandosi “all’alchimia dei godimenti semplici, ai piaceri dell’ordinaria quotidianità”.
Che forse – conclude il Censis, quasi facendo baluginare un barlume di speranza – è “un modo vitale, in definitiva, di stare al mondo nel nuovo mondo”.


