Roma, 7 ottobre – Tanto tuonò che, alla fine, venne a piovere: il ddl Concorrenza di iniziativa governativa è stato approvato ieri dall’Aula di Montecitorio, dov’era “sbarcato” il 21 settembre scorso.
Ci sono dunque voluti quasi sei mesi – il testo arrivò all’esame delle Commissioni parlamentari il 28 di aprile – per il sì (quasi) definitivo alla prima legge annuale sul mercato e la concorrenza del nostro Paese, alla quale manca ora solo l’ultimo passaggio in Senato.
Una legge che, nei libri di storia della farmacia che verranno, sarà con ogni probabilità segnata in rosso, come tutti i provvedimenti (la 405 del 2001, le “lenzuolate” di Bersani del 2006, il “Cresci Italia” di Monti nel 2012, solo per fermarsi agli ultimi 15 anni) che hanno introdotto elementi molto importanti di novità e discontinuità nell’assetto del servizio farmaceutico del nostro Paese.
È assolutamente indubbio, infatti, che lo “sdoganamento” delle società di capitale(alle quali viene consentito di acquistare e gestire farmacie) rappresenta un elemento di discontinuità a dir poco straordinario e, in potenza, in grado di determinare un nuovo corso nella storia della distribuzione farmaceutica del Paese.
Proprio l’ingresso del capitale, dunque, rappresenta la prima e principale novità del provvedimento, anche se a guadagnare il centro della scena e monopolizzare il dibattito è stata una misura – l’estensione della vendita dei farmaci di fascia C soggetti a ricetta anche alle parafarmacie e ai corner Gdo – che, anche se insistentemente proposta prima in Commissione prima e poi in Aula, non ha trovato spazio nel testo approvato ieri dall’Aula.
Per le farmacie, dunque, alla fine è andata come tutti avevano previsto andasse: entra il Capitale, non esce la fascia C.
Un esito ampiamente annunciato, soprattutto dopo la presa di posizione ufficiale, nelle scorse settimane, del principale partito della coalizione di Governo, il Pd di Renzi. Chiara la “linea” dettata ai deputati del Gruppo, in particolare sui farmaci di fascia C: un no senza se e senza ma agli emendamenti favorevoli a una liberalizzazione, ritenuta “avventuristica”.
Un no, quello venuto dai vertici del Pd in accordo con il Governo, che però non ha impedito ad alcuni deputati democrat di andare ad alimentare, anche ieri, le vivaci discussioni registrate in Aula, animate da quell’esteso fronte (M5S, Scelta civica e Sel, ma – appunto – anche esponenti di Pd) che sulle misure cruciali del provvedimento, capitale e fascia C, ha sempre sostenuto una posizione del tutto opposta a quella governativa: più chiusure al capitale, nel timore di oligopoli, e più aperture invece sui farmaci con ricetta di fascia C, da rendere disponibili alla vendita anche ai farmacisti delle parafarmacie.
Significativi, per testimoniare i “mal di pancia” di alcuni esponenti del Partito democratico, gli interventi svolti ieri in Aula da Marco Di Stefano e Davide Baruffi, che hanno voluto pubblicamente manifestare il loro dissenso contro il provvedimento, votato solo per disciplina di partito.
“In questo provvedimento non ci stiamo occupando di vendita di farmaci, ma di vendita delle farmacie. Noi consentiamo una maggiore concentrazione di licenze e consentiamo al capitale privato di entrare, cosa che in sé può essere né buona né cattiva e io non voglio stigmatizzare nulla, nessun provvedimento in sé rappresenta il bene o il male” ha detto Baruffi. “Certo è che aprire a monte e non consentire nulla a valle è, almeno in principio, pienamente contraddittorio con il titolo del disegno di legge in esame.”
Un’altra considerazione di Baruffi è stata rivolta agli argomenti utilizzati da alcuni deputati per bocciare l’ipotesi della fuoriuscita dei farmaci di fascia C, ancorché in esercizi presidiati da un farmacista: “Com’è che il rapporto diventa economico e di mercato in senso negativo” ha chiesto polemicamente il deputato “solo quando riguarda un professionista come il farmacista e il cliente, paziente o utente, e non lo è mai quando riguarda la vendita delle licenze in quanto tali? Cosa è mai questo modo di concepire il sistema sanitario nazionale?”
Ma basta scorrere il resoconto della seduta d’Aula di ieri (disponibile in questa pagina del sito della Camera dei Deputati) per rendersi conto di come, nonostante l’esito senza storia della votazione per i vincoli posti dal Governo, le misure sulle farmacie del ddl Concorrenza, così come approvate, hanno lasciato sul campo, in tutti gli schieramenti politici (ad eccezione di Ncd). estese sacche di insoddisfazione.
É ragionevole escludere che esse possano trovare espressione nel passaggio finale del provvedimento in Senato, attesa la volontà del governo di “portare a casa” il provvedimento entro la fine dell’anno. Ma, praticamente in concomitanza con l’atto finale di quella che sarà la prima legge annuale sulla concorrenza varata nel nostro Paese, verrà predisposto il testo per quella dei 2016. E, c’è da scommetterci, tutte le istanze che non hanno trovato spazio nel provvedimento approvato ieri dalla Camera torneranno a proporsi.
Al di là degli esercizi predittivi, per fondati che possano essere, resta il fatto che il (quasi) definitivo voto di ieri sancisce una nuova era nella storia della farmacia italiana, con la concessione alle società di capitale del “patentino” per entrare in quella che, fino a oggi, per era loro una bandita di caccia e che, d’ora in poi, sarà invece una riserva.
Anche se sull’argomento i vari organismi di categoria hanno mantenuto fin qui un profilo improntato alla cautela, riservando tutte o quasi le loro energie ed esternazioni al mantenimento dell’esclusiva della ricetta in farmacia, sarà proprio l’avvento del capitale, ancor più altri di temi, il vero turning point destinato a scrivere una nuova storia della farmacia italiana. Che – inevitabilmente – non potrà più essere la stessa: è la storia dell’economia a raccontare che non esiste un settore che, dopo l’ingresso delcapitale, non sia radicalmente cambiato: è ipotizzabile che la farmacia possa fare eccezione?