Roma, 28 marzo – La notizia è di quelle che sembrano fatte apposta per alimentare e ridare fiato alle teorie complottiste e alle polemiche di chi, fin dall’affacciarsi della pandemia, negò l’esistenza di d
i Covid, declassando l’emergenza sanitaria un’invenzione di Big Pharma per lucrare profitti fantamiliardari sulla pelle della gente. Le conclusioni di uno studio studio realizzato da Massimo Florio (nella foto), docente di Economia pubblica presso il Dipartimento di Economia, Management e Metodi quantitativi dell’università Statale di Milano, membro del Forum Disuguaglianze e Diversità, insieme alla collega di ateneo Simona Gamba e a Chiara Pancotti del Centre for Industrial Studies, su richiesta del Parlamento europeo, Commissione speciale sugli insegnamenti da trarre dalla pandemia (Covi), non sono ovviamente tali da accreditare convincimenti di questo tipo, ma hanno in effetti messo in luce che, almeno per quanto riguarda il capitolo vaccini, ad assumersi in larga prevalenza sulle proprie spalle il rischio finanziario della loro ricerca e sviluppo è stato il settore pubblico, e non certo le imprese farmaceutiche.
Gli Stati, USA e Paesi dell’Unione europea in primis, hanno infatti speso per finanziare la ricerca e lo sviluppo dei vaccini 30 miliardi, mentre le case farmaceutiche, che hanno realizzato enormi guadagni vendendo i risultati di quegli investimenti pubblici, hanno messo di tasca propria solo 16 miliardi per la ricerca e sviluppo, praticamente la metà. E dai dati a posteriori, nei due anni successivi all’inizio della pandemia, si rileva anche che le principali multinazionali farmaceutiche Pfizer, BioNTech, Moderna e Sinovac hanno registrato profitti per circa 90 miliardi di dollari dalla vendita di vaccini e farmaci contro il Covid-19.
Il contributo decisivo nell’individuazione e sviluppo di questi prodotti, “che hanno concorso a salvare le vite di cittadini e cittadine dalla pandemia Covid-19 in Europa e negli Usa e altrove, è venuto dagli Stati, cioè dai contribuenti, che hanno messo a rischio i propri fondi ben più di quanto abbiano fatto le imprese, sia nella ricerca e sviluppo, sia nell’avvio delle produzioni”, spiega una nota diffusa dal Forum DD e rilanciata tra gli altri da Adnkronos Salute. Lo studio presenta “la prima stima mai effettuata di quanti investimenti le imprese e gli Stati, il privato e il pubblico, hanno realizzato per individuare e sviluppare i vaccini prima di sapere che funzionassero (quindi investimenti ‘a rischio’)”.
I vaccini presi in esame sono nove. Per questi lo studio ha stimato che le imprese hanno realizzato investimenti di 5 miliardi di euro per ricerca e sviluppo e di 11 miliardi per investimenti produttivi prima di avere certezza di vendita, per un totale di 16 miliardi. A fronte di essi, “dall’esterno, in quasi completa provenienza dagli Stati, sono arrivate alle imprese sovvenzioni a fondo perduto di 9 miliardi per ricerca e sviluppo (con enorme variabilità fra imprese riceventi e in larga misura dagli Usa) e 21 miliardi di ‘advanced purchase agreements’ (in parti simili da Usa e Ue), cioè accordi di acquisto prima dell’autorizzazione dei vaccini stessi, per un totale di 30 miliardi”.
“Questo dato” commenta Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum DD (nella foto a destra) “nega in primo luogo che gli elevatissimi extra-profitti realizzati dalle imprese farmaceutiche nella vendita dei vaccini che, per alcuni di essi hanno raggiunto decine di miliardi di euro per singola impresa, siano in qualche misura giustificati dal rischio di mercato da loro assunto. Un rischio due volte maggiore è stato assunto dagli Stati con mezzi delle persone contribuenti (di oggi o di domani). Ma a fronte di tale rischi, gli Stati non hanno esercitato la funzione di governo e controllo delle decisioni di prezzo e distribuzione che competono a chi si assume la maggioranza del rischio”. Con l’eccesso di risorse finanziarie riversate, i governi avrebbero potuto rafforzare i sistemi sanitari pubblici, si legge ancora nella nota, in cui si fa notare anche che “Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose, portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20. Per cui si ricomincerà a dover pagare un conto illimitato”.
Per di più, argomenta lo studio, “senza che i fortissimi differenziali di prezzo fra i diversi vaccini siano accompagnati da alcuna valutazione delle differenze nella loro efficacia“. Per gli esperti è necessaria una “correzione di rotta”. E a detta loro “la scelta sin qui compiuta dall’Ue con Hera”, l’Autorità per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, non va nella direzione migliore. Occorre, dichiara Florio, “un intervento pubblico europeo per prevedere e affrontare le prossime pandemie e per altre emergenze già visibili. In campi cruciali per la salute, serve la messa a punto di farmaci, vaccini, diagnostica e altri rimedi, da offrire ai cittadini come beni comuni: con ricerca e sviluppo anche in collaborazione con imprese private, ma mantenendo fermamente sotto controllo pubblico la ‘proprietà intellettuale’ e le decisioni strategiche su tutto il ciclo dell’innovazione biomedica e del farmaco in quei campi”.
Lo studio argomenta che nell’immediato è necessario normare a livello europeo la condivisione delle decisioni di prezzo e distribuzione fra privato e pubblico in relazione all’entità dei rispettivi investimenti. A regime, la strada appropriata è quella di avviare “la costruzione di un’infrastruttura pubblica, come quella proposta nello studio precedente ‘Biomed Europa’, svolto dagli stessi economisti per lo Science and Technology panel del Parlamento europeo (Stoa), a partire da una idea maturata già nel 2019 nel Forum DD”, si legge nella nota.
Lo studio verrà illustrato in Italia il 12 aprile nella Fondazione Basso di Roma.


