Roma, 16 gennaio – Per la prima volta una ricerca dell’Università di Pisa, appena pubblicata sul Journal of Hazardous Materials, ha esaminato l’impatto di diverse concentrazioni di ibuprofene, comune antiinfiammatorio molto utilizzato durante la pandemia di Covid 19, sulle angiosperme marine, piante che – spiega Elena Balestri (nella foto con il collega Claudio Lardicci), docente del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano “svolgono ruoli ecologici cruciali e forniscono importanti servizi ecosistemici, ad esempio proteggono le coste dall’erosione, immagazzinano carbonio e producono ossigeno, supportano la biodiversità, e costituiscono una nursery per numerose specie animali”.
In particolare, lo studio dei ricercatori pisani si è focalizzata su Cymodocea nodosa (Ucria) Ascherson, una specie che cresce in aree costiere poco profonde, anche in prossimità della foce dei fiumi, zone spesso contaminate da molti inquinanti, farmaci compresi. La sperimentazione è avvenuta in mesocosmi all’interno dei quali le piante sono state esposte per 12 giorni a concentrazioni di ibuprofene rilevate nelle acque costiere del Mediterraneo. È così emerso che la presenza di questo antinfiammatorio a concentrazioni di 0,25 e 2,5 microgrammi per litro causava nella pianta uno stress ossidativo ma non danni irreversibili. Se invece la concentrazione era pari a 25 microgrammi per litro, le membrane cellulari e l’apparato fotosintetico risultavano danneggiate, compromettendo in tal modo la resilienza della pianta a stress ambientali.
“Il nostro è il primo studio che ha esaminato gli effetti di farmaci antiinfiammatori sulle piante marine” spiega Balestri. “Attualmente, si stima che il consumo globale di ibuprofene superi le 10.000 tonnellate annue e si prevede che aumenterà ulteriormente in futuro, e poiché gli attuali sistemi di trattamento delle acque reflue non sono in grado di rimuoverlo completamente, anche la contaminazione ambientale aumenterà di conseguenza”.
“Per ridurre il rischio di un ulteriore aggravamento del processo di regressione delle praterie di angiosperme marine in atto in molte aree costiere” conclude la biologa. “Sarà quindi necessario sviluppare nuove tecnologie in grado di ridurre l’immissione di ibuprofene e di altri farmaci negli habitat naturali, stabilire concentrazioni limite di questo contaminante nei corsi d’acqua e determinare le soglie di tolleranza degli organismi, non solo animali ma anche vegetali”.
Complessivamente, le strutture dell’ateneo pisano coinvolte nello studio sono i dipartimenti di Biologia, di Farmacia e di Scienze della Terra, il Centro per l’Integrazione della Strumentazione scientifica (CISUP) e il Centro interdipartimentale di ricerca per lo studio degli effetti del cambiamento climatico (Cirsec).
La ricerca è stata realizzata grazie alla collaborazione di tre team di ricerca, uno dedicato all’aspetto ecologico (composto dai professori Balestri e Claudio Lardicci e da Virginia Menicagli, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Biologia), un secondo focalizzato su Botanica (prof. Monica Ruffini Castiglione) e Fisiologia vegetale (Carmelina Spanò, Stefania Bottega e Carlo Sorce) e infine il terzo gruppo di Biologia farmaceutica, costituito dalla professoressa Marinella De Leo e da Emily Cioni, dottoranda del Dipartimento di Farmacia.