Roma, 7 luglio – La previdenza è indiscutibilmente uno dei temi più caldi e complessi da gestire, a ogni livello, a partire da quello politico. Perché – al netto delle sparate populiste per acchiappare voti facendo promesse alle quali, ci si perdoni l’affermazione forte, possono credere solo i gonzi – elaborare interventi sul terreno delle pensioni che non finiscano per essere (o essere percepiti) come punitivi non solo è terribilmente difficile da fare, ma anche da far capire.
Le politiche previdenziali sono infatti credibili e possono rivelarsi utili solo quando rispettano l’imprescindibile necessità di salvare le precondizioni della sostenibilità e della tenuta del sistema per le generazioni future. Il che impone un approccio fondato su ragionamenti, analisi e proiezioni di quel che avverrà tra quaranta-cinquanta anni, ovvero un tempo che molti percepiscono come ancora molto lontano (in realtà è domani), chiedendo interventi previdenziali che. intanto, comincino ad apportare concreti vantaggi per l’oggi.
Insomma, il tema pensioni è certamente divisivo e politicamente molto scomodo, perché influisce in modo importante sul consenso. Il problema è che è ineludibile. E un altro problema è che affrontarlo non è semplice, a nessun livello, anche e soprattutto per la semplice ragione che per essere compreso nelle sue logiche profonde richiede conoscenze che non sono quelle dei conti della serva. Niente che non possa essere comunicato efficacemente e quindi compreso, intendiamoci: ma la storia ci insegna che non sempre chi dovrebbe ha la voglia o la capacità di comunicare efficacemente, e non sempre dall’altra parte c’è la voglia e la disponibilità a comprendere.
Così quello che dovrebbe essere un necessario, largo, civile e partecipato dibattito su un tema assolutamente centrale per la vita di ciascuno – il proprio destino previdenziale -, diventa una sorta di discussione da bar dove a prevalere sono le parole in libertà, gli slogan, le polemiche roventi che innescano un malmostoso clima di conflitto permanente tra persone che, alla fine, spesso non sanno neanche perché e su cosa si stanno azzuffando.
Tracciato il quadro generale – che vale più o meno per tutta la materia previdenziale – è il caso di ricordare che anche per la professione farmaceutica la questione pensioni è un tema critico. E lo è non certo per le condizioni della cassa previdenziale di categoria (l’Enpaf) – che anzi si segnala nel panorama delle casse di categoria per la sua oculata gestione, attestata dalle lusinghiere valutazioni della Corte dei Conti – ma per la linea di faglia che negli ultimi sembra essersi andata sempre più allargandosi tra l’ente e i suoi iscritti.
Il discorso non è riferito tanto alla presenza del dissenso organizzato – quello, per esemplificare, di realtà come il Comitato per l’abolizione dell’obbligo di iscrizione all’Enpaf, molto attivo anche sui social (la sua pagina su Facebook supera i 10mila follower) – ma più in generale al clima di insofferenza nei confronti dell’ente che si percepisce all’interno della comunità professionale. È ben vero che non è davvero necessario scavare troppo per realizzare che il più delle volte si tratta di un sentimento di generico scontento che non scaturisce da contestazioni fondate, ma questo non cambia lo stato delle cose: tra gli iscritti e l’Enpaf il clima tenda al corruccio e l’empatia non è di casa.
Enpaf, in autunno il rinnovo del CdA per il prossimo quadriennio
In questa temperie, la cassa di categoria è attesa nel prossimo autunno dal rinnovo del suo Consiglio di Amministrazione. Una scadenza importante, che – a prestare ascolto agli immancabili rumors – ha già messo in moto le manovre sotterranee di chi aspira a guidare nel prossimo quadriennio l’ente previdenziale di categoria. Nomi che non sono (ovviamente) ancora usciti allo scoperto, nel rispetto della regola aurea che impone di non “bruciare” le proprie chance con sortite anticipate: nel nostro Paese, che ospita da sempre la Santa Sede, anche i bambini della scuola materna sanno che chi entra in conclave Papa finisce sempre per uscirne cardinale. Ma è un dato di fatto che – sempre a prender per buoni i rumors già citati – tra i candidati al soglio è data per certa la presenza anche di esponenti importanti dell’attuale nomenklatura professionale, già al lavoro sul fronte dei “grandi elettori” (i presidenti degli Ordini provinciali dei Farmacisti), la ristretta comunità che elegge il CdA dell’Ente, che poi esprime il presidente.
Forte del lungo periodo di gestione che – partendo da una iniziale situazione di difficoltà – ha portato l’ente a segnalarsi come uno dei più apprezzati esempi di previdenza professionale, in grado di salvaguardare l’equilibrio previdenziale e di disporre di un solido assetto patrimoniale, l’attuale presidente Emilio Croce si è fin qui astenuto da qualsiasi commento sulla prossima scadenza elettorale e, ovviamente, non ha profferito una sillaba sull’ipotesi di una sua nuova candidatura, rispettando rigorosamente una sua vecchia e radicata convinzione: “Chi governa l’Enpaf deve sempre occuparsi solo dei fatti e interessarsi poco alle parole”.
Leopardi: “Manca la fiducia nei confronti dell’Ente, serve comunicazione migliore”
Ma c’è chi ritiene che il tema debba invece essere portato a conoscenza della comunità professionale, stante il peso e il rilievo che riveste per tutti gli iscritti alla professione: i destini dell’Enpaf e della sua governance sono decisivi, tout court, per i destini di tutti i farmacisti e le farmaciste, e dunque è giusto e doveroso parlarne apertamente e pubblicamente. Non farlo, rafforzerebbe la già radicata convenzione che i meccanismi che esprimono le rappresentanze professionali non sono trasparenti come invece dovrebbero, allargando ulteriormente il solco che già esiste tra la comunità dei farmacisti e i suoi vertici. A sposare questa tesi, andando di fatto contro corrente, è il presidente di Utifar e Federfarma Lazio Eugenio Leopardi (nella foto), che al tema previdenza annette un’importanza centrale e che ha deciso di comunicare apertis verbis et coram populo di essere interessato a contribuire a spingere l’ente di categoria verso una nuova stagione, preoccupandosi di mantenere in ogni caso impregiudicata la sua solidità e i lusinghieri livelli raggiunti.
Leopardi ha deciso così di uscire allo scoperto, prima con un editoriale a sua firma sulla rivista Collegamento, house organ di Utifar, e poi con un’intervista a iFarma Digital, pubblicata dal giornale diretto da Laura Benfenati giovedì scorso.
Il presidente di Utifar – che riconosce i grandi risultati ottenuti dalle precedenti gestioni dell’ente in termini di risanamento e assestamento dei conti e di sviluppo delle prestazioni – parte proprio dalla “distanza” che separa la cassa professionale dai suoi iscritti, distanza che finisce inevitabilmente per trasformarsi in ostilità e “totale mancanza di fiducia che accomuna titolari e collaboratori”. Una situazione che deve essere assolutamente superata al più presto, ripensando il senso dell’appartenenza a un ente previdenziale, che deve essere vissuto come una comunità di valori e di tutele.
“Serve un cambio di linguaggio, di tono, di approccio: per far sentire ogni collega non un destinatario passivo, ma parte attiva di un progetto comune” è il pensiero di Leopardi, che nella mancanza di dialogo con i farmacisti individua uno dei principali problemi dell’ente: “Serve una comunicazione migliore, perché molte iniziative non sono conosciute dai colleghi. E poi una maggiore vicinanza con la categoria, si devono conoscere le esigenze degli iscritti: è stato risanato, è un ente solido eppure non c’è un collega che sia contento dell’Enpaf“, afferma il farmacista romano.
Leopardi insiste sull’importanza della comunicazione, che non sarà mai efficace finché sarà prevalentemente intermediata dagli Ordini, ma deve passare attraverso il rapporto diretto con gli iscritti. Perché un conto è rapportarsi ad apparati, peraltro neppure in possesso delle competenze e delle risorse necessarie per fornire quel genere di informazioni, un altro conto è essere e sentirsi parte di una comunità.
Ma se la corretta relazione ente-iscritti è uno strumento fondamentale per iniziare un’altra storia cominciando finalmente a comprendersi, al presidente di Utifar non sfuggono ovviamente gli altri e fondamentali temi in gioco, su tutti l’obbligo contributivo alla cassa di categoria anche per chi già gode di copertura previdenziale, vissuto come un indebito e inaccettabile balzello, e l’ammontare dei trattamenti pensionistici, ritenuti irrisori soprattutto dai titolari di farmacia.
“Doppio obbligo contributivo da eliminare e pensioni da migliorare: sono percorsi lunghi e difficili, ma l’importante è avviarli e sostenerli”
“Entrambi i problemi vanno analizzati a fondo ed esistono soluzioni normative da discutere con il Governo e altre che possono essere decise all’interno dell’Enpaf, modificando i regolamenti” spiega Leopardi nell’intervista a iFarma. “Certo la pensione corrisponde alla contribuzione che il titolare paga ma potrebbe essere integrata con tanti altri servizi. Se un ente ha un bilancio così positivo – complimenti a chi lo ha gestito finora – e non è una società per azioni o una banca, forse una parte degli utili annuali di esercizio, compatibilmente con la necessità degli equilibri a lungo periodo e i warning avanzati al riguardo dalla magistratura contabile, potrebbero essere riversati in servizi che possono agevolare la vita dei colleghi, titolari o collaboratori che siano”.
La difficoltà dei problemi non sfugge a nessuno, e la soluzione di alcuni richiederà necessariamente tempi lunghi e faticosi passaggi istituzionali. Ma quel che conta – una volta stabilita l’unità di intenti rispetto alla loro necessità – è che quei percorsi vengano avviati e sostenuti: è cominciare a fare la scelta che segnerà la differenza. E, per cominciare a fare, il dialogo e il confronto saranno fondamentali, magari anche con altre casse di previdenza professionale che sono capaci di erogare pensioni più adeguate ai loro associati: “Questo ci consentirebbe di trovare soluzioni che magari finora non sono state prese in considerazione” ha spiegato Leopardi a iFarma, per poi concludere che “serve un cambio di passo: continuare a gestire la previdenza come un esercizio ragionieristico, ignorando il contesto umano e professionale in cui operano gli iscritti, significa smarrire la vocazione stessa dell’Enpaf”.
Un pericolo che, secondo Leopardi, va scongiurato in ogni modo. Perché la reductio ad solutionem, ovvero il preoccuparsi in via pressoché esclusiva di far tornare i conti, non può fagocitare il significato più profondo di un ente di previdenza e assistenza professionale, che trova la sua vera ragione d’essere e il suo senso solo quando è in primo luogo una comunità di valori e di tutele. Ed è questo, a giudizio di Leopardi, l’obiettivo sul quale bisognerà puntare nella nuova stagione che l’Enpaf – se non vorrà perdere del tutto il suo senso, il suo significato e la sua anima – dovrà necessariamente aprire.


