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sabato 18 Ottobre 2025
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Industrie: “Gaza, tregua e ostaggi liberi subito ma no a boicottaggio farmaci israeliani”

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Roma, 29 agosto – Le polemiche scatenate dalla drammatica situazione di Gaza rimbalzano anche all’interno della filiera farmaceutica italiana, dove ieri Farmindustria ed Egualia, le sigle delle aziende produttrici di farmaci, hanno diramato un comunicato per esprimere la loro posizione sul conflitto in corso in quella martoriata striscia di terra, che – è il caso di ogni guerra – pagano prima e più di tutti le popolazioni inermi.

Le due associazioni, nella nota, comunicano di aderire con piena convinzione alla richiesta di liberazione degli ostaggi e di sospensione del conflitto nella striscia di Gaza, “a tutela della popolazione palestinese stremata e decimata dalla fame e dalle armi”. Ma esprimono anche il loro sconcerto che, a questa richiesta giusta e urgente, gli Ordini provinciali dei Medici chirurghi e degli Odontoiatri delle province di Lecce e di Firenze abbiano voluto collegare anche “indicazioni sull’uso e la prescrizione di farmaci di un’azienda farmaceutica piuttosto che di un’altra, andando oltre le competenze e prerogative ad essi assegnate dalle normative a tutela della salute dei cittadini e della funzione medica”.

Indubbiamente, la scelta dei due ordini professionali non rientra davvero nel perimetro delle competenze loro affidate dalla legge, ma è del tutto evidente che l’iniziativa degli organismi professionali altro non voleva essere che un’azione di sostegno alla campagna di boicottaggio internazionale contro le decisioni del governo di Tel Aviv, considerato responsabile da larga parte dell’opinione pubblica mondiale di un disegno disumano contro la popolazione palestinese, che si vuole in ogni modo costringere (anche affamandola) ad abbandonare le terre della Striscia di Gaza nelle quali ha sempre vissuto.

In frangenti storici straordinariamente drammatici come quelli che stiamo vivendo, lo “sconcerto” per scelte come quelle dei due Omceo di Firenze e Lecce, che esondano dal perimetro delle leggi ma certamente non da quello dell’umana coscienza, appare – come dire? – una reazione un filo eccessiva. Perché è del tutto legittimo che i medici (così come  tutti i professionisti impegnati nella tutela della salute, come i farmacisti e gli infermieri) possano decidere – esponendosi a tutte le conseguenze del caso – di abbandonare il comodo ombrello della neutralità e schierarsi. E non può meravigliare, considerati situazione e frangenti, che possano farlo anche le loro sigle professionali che ritengano utile se non addirittura necessario farlo.

A chi lo voglia vedere senza pregiudizi o calcoli di convenienza, l’invito dei due Ordini a non prescrivere farmaci di aziende israeliane non può che apparire nel suo evidente significato, che è quello di provare a fare qualcosa – un gesto che superi la dimensione della protesta individuale per assumere rilevanza pubblica – per non restare impaniati nella trappola, non di rado pelosa, della “neutralità”. Gli Omceo di Lecce e Firenze – ma anche tutti i professionisti sanitari che, anche solo a livello individuale, hanno posto in essere decisioni analoghe o simili, come ad esempio le farmacie comunali di Sesto Fiorentino che hanno deciso di non vendere farmaci della multinazionale israeliana Teva –  hanno semplicemente scelto di schierarsi, ed è probabile che lo abbiano fatto non per ragioni geopolitiche ma per responsabilità.

Le responsabilità, per intenderci, che discendono direttamente dall’etica medica, da quel potente giuramento di Ippocrate che da sempre impone a chi si dedica alla cura degli altri di impegnarsi ad affermare e tutelare prima e sopra di tutto le ragioni della vita, opponendosi e contrastando ogni possibile causa di sofferenza in qualunque forma si manifesti. Anche quando ciò dovesse richiedere azioni sicuramente fuori dalle righe, come il boicottaggio dei farmaci  israeliani subito criticato da Farmindustria ed Egualia, ma anche stigmatizzato dallo stesso presidente Fnomceo Filippo Anelli, che ritiene che in questo modo “si danneggia il popolo di Israele”.

Il fatto è che i medici e tutti coloro che scelgono di dedicarsi alla tutela della salute degli altri, proprio in ragione della loro scelta professionale, sono i difensori della salute universale. E non è dunque “sconcertante” se – anziché restare spettatori neutrali di quotidiane, sistematiche e crudeli violazioni del primo dei diritti umani, quello alla salute e alla vita – tra le loro sigle v’è chi decida di impegnarsi in azioni ritenute più efficaci delle semplici parole per provocare una riflessione e smuovere le coscienze.

Più probabilmente, la scelta di una così esplicita sortita pubblica nasce dalla decisione di non restare in silenzio, di provare a chiedere – con responsabilità, coerenza e coraggio – un sussulto alla coscienza dell’opinione pubblica mondiale, in una fase storica in cui, per riaffermare finalmente le ragioni della vita, non si può tacere ma, semmai, alzare la voce.

Perché, di fronte alle drammatiche testimonianze che ormai da due anni arrivano da Gaza, come ci ricordava ogni giorno papa Bergoglio e continua ora a ricordarci quotidianamente papa Prevost, se oggi c’è una cosa “sconcertante” è proprio il silenzio.

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