Roma, 23 ottobre – Nonostante i successi nella raccolta di sangue intero, che grazie alla legge 219/2005 che ha posto al centro la donazione volontaria (anonima, gratuita e periodica) come cardine del sistema trasfusionale, consentendo il raggiungimento dell’autosufficienza nazionale per il sangue intero, l’Italia non ha ancora raggiunto lo stesso traguardo nella produzione di farmaci plasmaderivati. Attualmente, circa un quinto delle scorte (20%) proviene ancora dall’estero, situazione che rende vulnerabile il sistema rispetto alle oscillazioni del mercato internazionale. Si tratta infatti di medicinali essenziali per il trattamento di patologie gravi come l’emofilia, le immunodeficienze primitive, le ustioni, i trapianti e molte malattie del fegato, che non possono quindi risentire di problemi di disponibilità.
Il problema, come ha ricordato Francesco Carugi, presidente del Gruppo Emoderivati di Farmindustria (nella foto), partecipando al digital talk promosso da Adnkronos sulla disponibilità di plasma in Italia, è che ottenere i plasmaderivati richiede “un processo industriale lungo e complesso. Sono farmaci critici, fragili, proprio perché dipendono da una materia prima – il plasma – che può andare incontro a periodi di carenza” ed è per questo oltre modo preziosa, tanto da essere riconosciuta dall’Oms come “materia prima critica”, proprio come l’acqua. E così come non è immaginabile un mondo senza acqua, ha osservato Carugi, “credo non sia immaginabile un mondo senza plasma”.
La stessa Commissione europea nel 2025 ha inserito i plasmaderivati nella lista delle “medicine critiche”, allo scopo di garantire il loro approvvigionamento ai pazienti affetti da malattie rare, anche per contrastare gli effetti negativi prodotti agli inizi degli anni ’20 dall’emergenza Covid, con a livello internazionale della donazione di plasma. In Italia, ha spiegato il presidente del Gruppo Emoderivati di Farmindustria,”la raccolta ha retto abbastanza bene, ma solo nel 2023 si è tornati ai livelli pre-pandemici, con oltre 86 milioni di chili raccolti a livello globale”.
“Il settore dei plasmaderivati in Italia è strategico: ha un valore di produzione di circa 350 milioni di euro, vi operano 4 aziende costantemente e stabilmente sul territorio nazionale, con importanti investimenti sia nella parte industriale, sia nella ricerca e sviluppo, ma anche in ambito occupazionale” ha spiegato ancora Carugi. “Parliamo di circa 1.700 addetti e di un forte impegno nella ricerca: a livello globale ci sono circa 20 nuovi farmaci in sviluppo”. Le aziende del settore “operano su due canali, quello del plasma nazionale per l’autosufficienza e quello del plasma estero per integrare la domanda. Il sistema misto, se bilanciato e regolamentato, è un buon modello. A breve sarà disponibile uno studio di farmacoeconomia che aiuterà a ottimizzare il sistema”.
Intanto però resta da affrontare il nodo del payback – il meccanismo di compensazione che obbliga le aziende a rimborsare parte della spesa pubblica se vengono superati i tetti di spesa stabiliti per i farmaci, che per i plasmaderivati è diventato assolutamente insostenibile. “Come Farmindustria chiediamo da tempo la loro esclusione dai tetti di spesa, a parità di risorse allocate” ribadisce Carugi. “Molti anni fa erano esclusi dal payback, ma per vicende legate ai bilanci dei governi successivi sono stati reinseriti. Sostanzialmentechiediamo che il sistema plasma venga messo in sicurezza e che venga rimossa questa barriera, che oggi limita le allocazioni dei plasmaderivati in Italia e genera competizione tra i Paesi europei per la distribuzione del plasma. Con queste decisioni – conclude il rappresentante delle industrie di settore – sarà più facile garantire terapie salvavita ai pazienti affetti da malattie rare e dare maggiore stabilità” a tutta la filiera.