Roma, 24 ottobre – Giusto guardare in casa d’altri, per vedere gli effetti prodotti da quelli che sono i più grandi e inarrestabili viaggiatori del mondo, i virus, che ignorando bazzecole come confini, dogane e passaporti circolano quando e come meglio ritengono. Ma bisogna farlo cum grano salis, tenendo conto che – pur essendo tutto il mondo un paese – esistono differenze, e queste (per tautologica che possa essere l’affermazione) fanno qualche differenza. E bisogna tenerne conto, per evitare i rischi sia dell’eccesso di allarmismo, sia di pericolosa sottovalutazione di quanto accade altrove.
Questo, liberamente interpretato e tradotto, il messaggio che arriva da un team di ricercatori italiani, Chiara Romano e Francesco Branda (Università Campus Bio-Medico, Roma, nelle foto), Gia
ncarlo Ceccarelli (Università Sapienza Roma), Marta Giovannetti (Università Campus Bio-Medico), Massimo Ciccozzi (Università Campus Bio-Medico), Fabio Scarpa (Università di Sassari) e Dong Keon Yon (5. Kyung Hee University College of Medicine di Seoul), autori di un approfondimento pubblicato sulla piattaforma medRxiv riferito al’epidemia di influenza in Giappone, caratterizzata da un’insorgenza eccezionalmente precoce e da una circolazione diffusa del virus H3N2, tanto da costringere le autorità del Paese – a fronte di oltre 6.000 casi confermati e più di 100 scuole chiuse – a dichiarare nei giorni scorsi l’epidemia.
Un evento, scrivono i ricercatori, che certamente “richiede una risposta di sanità pubblica ponderata e scientificamente informata, lontana da retoriche allarmistiche e generalizzazioni infondate”. La gravità di un’ondata epidemica, si legge nel contributo del team italiano “non è determinata esclusivamente dal numero di casi o dal ceppo virale circolante, ma deriva da una complessa interazione di variabili locali, tra cui il profilo immunitario della popolazione, i tassi di copertura vaccinale, la struttura per età della comunità e la co-circolazione di altri patogeni respiratori”.
I ricercatori ricordano che “la mobilità internazionale, simboleggiata dalle intricate rotte aeree che collegano Paesi e continenti, è senza dubbio un vettore di diffusione del virus. Tuttavia, concentrarsi esclusivamente su una singola rotta o Paese offre una visione miope e potenzialmente fuorviante. Una rete di trasporti interconnessa a livello globale – precisano – significa che i virus possono emergere o riemergere da numerosi ‘hub’, non solo da quelli recentemente colpiti”.
“Questa prospettiva sistemica” osservano quindi gli autori dell’approfondimento “ci impone di andare oltre narrazioni semplicistiche che identificano una singola area geografica come la minaccia principale, evidenziando l’inadeguatezza di etichettare un rischio stagionale con il nome di un singolo paese”.
“Alla luce di queste considerazioni, la risposta più appropriata ed efficace non risiede in comunicazioni allarmistiche che rischiano di minare la fiducia dei cittadini” concludono i ricercatori “bensì nel rafforzamento coerente e strutturato di strategie basate sull’evidenza: il consolidamento di sistemi di sorveglianza integrata robusti e reattivi in tutti i Paesi, l’implementazione di campagne vaccinali proattive e culturalmente appropriate, l’adozione di protocolli clinici aggiornati per la gestione simultanea di infezioni respiratorie multiple e, non ultimo, la promozione di una comunicazione trasparente, accurata e rassicurante che orienti la popolazione verso scelte di salute informate e responsabili, superando allarmismi selettivi basati su osservazioni isolate”.


