Roma, 14 novembre – Il dato del forte aumento del consumo di psicofarmaci in bambini e adolescenti registrato dal Rapporto Osmed dell’Aifa è forse quello che ha suscitato le reazioni più numerose (e in qualche caso preoccupate) degli addetti ai lavori. Un commento è arrivat
o anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci (nella foto), che – a margine del Cancer Policy Forum tenutosi l’altro ieri a Roma presso la Sala della Regina di Montecitorio – rispondendo alle domande dei giornalisti sull’argomento ha affermato che si tratta di dati che “vanno guardati con attenzione. Dai dati si parte per avere un’analisi completa e per poter poi, eventualmente, intervenire”.
“Abbiamo dedicato molta attenzione, anche nell’ultima legge di Bilancio, ai problemi psichiatrici e psicologici” ha aggiunto il ministro. “Probabilmente questo aumento del ricorso ai farmaci è legato a un’aumentata incidenza di situazioni che necessitano il trattamento farmacologico. Credo che anche su questo vada fatta una riflessione attenta, guardando i dati e cercando di capire cosa celano, per capire le dinamiche oltre il numero”.
Neuropsichiatri: “Uso di psicofarmaci in età evolutiva, non servono allarmi ma riflessione responsabilità”
Sul tema sono intervenuti anche i neuropsichiatri Stefano Vicari, dell’ospedale Bambino Gesù di Roma e Gabriele Masi, referente del Coordinamento primari emergenze psichiatriche in età evolutiva, affermando che i dati sull’aumento dell’uso di psicofarmaci in età evolutiva richiedono e una lettura attenta e articolata e “non devono essere letti come un segnale di allarme, ma come uno stimolo alla riflessione e alla responsabilità condivisa”.
Se da un lato serve prudenza, “affinché ogni prescrizione sia frutto di un’attenta valutazione e di un monitoraggio continuo”, affermano i due esperti, dall’altro non si deve ignorare che” molti bambini e adolescenti con disturbi psichici in Italia non ricevono ancora un aiuto adeguato: secondo le stime, in Italia solo un ragazzo su 15-20 tra quelli che potrebbero trarre beneficio da una terapia farmacologica la riceve davvero, la percentuale più bassa tra i Paesi europei.
Quando si parla di psicofarmaci in età evolutiva servono grande prudenza e competenza, spiegano Masi e Vicari, evitando approcci generici e limitati. Parlare solo della ‘prevalenza d’uso’, ad esempio, non basta: bisogna chiedersi quante persone avrebbero effettivamente bisogno di un trattamento e non lo ricevono. “È giusto preoccuparsi per chi assume un farmaco, ma bisognerebbe preoccuparsi altrettanto — forse di più — per chi non riceve alcun trattamento, pur avendone necessità” concludono i due esperti, a giudizio dei quali “la vera sfida non è solo limitare l’uso dei farmaci, ma garantire che chi ne ha davvero bisogno possa accedere a cure appropriate, integrate e tempestive. Parlare di salute mentale nei più giovani significa promuovere una cultura dell’ascolto, della competenza e della cura, perché il benessere psicologico dei ragazzi è — e deve restare — una responsabilità di tutti”.


