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martedì 18 Novembre 2025
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Eurostat, i Paesi Ue in media destinano alla sanità il 10% del Pil, l’Italia ferma all’8,41%

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Roma, 18 novembre – Il ministro della Salute Orazio Schillaci – e con lui molti altri rappresentanti del Governo e della maggioranza che lo sostiene – continuano con ammirevole tenacia a sostenere che mai prima d’ora la sanità pubblica aveva ricevuto tanti finanziamenti quanti quelli erogati dall’esecutivo in carica. “La manovra per il 2026 prevede il più grande aumento mai registrato, 136,5 miliardi per il 2025, oltre 10 miliardi in più rispetto al 2022″ ha ribadito non più tardi di ieri il titolare della Salute in un’intervista al quotidiano La Stampa, asserendo una verità che però non racconta una realtà che – a giudizio delle rilevazioni e delle valutazioni di organismi pubblici come la Corte dei Conti  e l’Istat – è ben diversa e dice che la sanità italiana è drammaticamente sotto-finanziata, come si evince dal dato dell’incidenza sul Pil, che – forse non a caso – Schillaci prova a depotenziare asserendo che ogni confronto fatto utilizzando questa chiave “è metodologicamente corretto”.

Ma andiamo con ordine: a fornire dati freschissimi sulla nostra spesa sanitaria, nel quadro della più ampia spesa per il welfare, è Eurostat,  l’ufficio statistico dell’Unione europea, che li ha pubblicati ieri  anche in forma disaggregata per Paese. E sono dati dai quali pprendiamo, intanto, che nel 2024 la spesa pubblica per prestazioni di protezione sociale nella Ue ha raggiunto i 4.925 miliardi di euro, dato che segna un incremento del 6,9% rispetto al 2023e e conferma la tendenza alla crescita dei costi legati ai sistemi di welfare nei Paesi membri. In rapporto al prodotto interno lordo, la spesa sociale dell’Ue è salita al 27,3% del Pil, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al 2023.

E in Italia? L’’incidenza delle prestazioni sociali, ci dice Eurostat, è passata dal 27,91% del Pil nel 2023 al 28,34% nel 2024, con una crescita nominale del 4,3%, uno dei valori più contenuti nell’Unione insieme a quello della Danimarca. La spesa per prestazioni sociali comprende pensioni, servizi sanitari e assistenziali, sussidi di disoccupazione e sostegni a famiglie e categorie vulnerabili, ed è distinta dalle altre voci di bilancio pubblico come difesa, istruzione o infrastrutture. A livello europeo, il suo peso sul Pil è più elevato in Finlandia (32,5%), Francia (31,9%) e Austria (31,8%), mentre i valori più bassi si registrano in Irlanda (12,4%), Malta (13,4%) e Ungheria (16,6%).

Spostando il focus sulla voce che maggiormente interessa, quella della spesa sanitaria, emerge che nel 2023 l’Unione europea ha speso 1.720 miliardi di euro, pari al 10% del Pil della Ue. La Germania ha registrato il livello più elevato di spesa sanitaria corrente tra i Paesi della UE, pari a 492 miliardi di euro nel 2023, e anche di rapporto più elevato rispetto al Pil, pari all’11,7%. In termini di spesa corrente l’Italia è terza (179 miliardi di euro) dopo la Francia (325 miliardi di euro) e prima della Spagna (a conferma, dunque, degli sforzi fin qui condotti dal Governo). Ma resta il nodo dell’incidenza sul Pil che – con buona pace della “scorrettezza metodologica” attribuitale da Schillaci – è in realtà considerato il metro di misurazione più probante: il finanziamento della sanità si misura non in valore assoluto, ma in percentuale sul Pil in tutti i Paesi Ocse. E se – come fa il Governo italiano – si sottolineano i miliardi in più destinati alla spesa sanitaria pubblica si dice la verità, che smette di essere tale se si omette che rispetto al tasso di crescita previsto del Pil ci sarà una riduzione importante. La scelta di rapportare il valore assoluto di un impiego finanziario (nel caso di specie, quello per la sanità) con il Pil  non è infatti un arbitrio o un ghiribizzo, ma viene da lontano ed è “alla base di tutte le valutazioni macroeconomiche dei Governi pro tempore, del MEF, del ministero della Salute, dell’Istat, della Corte dei Conti e dell’Upb. Anche le Regioni usano questo approccio così come la Ue e Eurostat”, come ha voluto ricordare appena qualche settimana fa il professor Giorgio Banchieri, segretario nazionale dell’Associazione italiana per la qualità della assistenza sanitaria e sociale (Asiquas) e docente del Dipartimento di Scienze sociali ed economiche della “Sapienza” di Roma e della Luiss Business School. Che, nell’occasione, ha anche voluto ricordare che il valore della spesa sanitaria si calcola sul Pil  semplicemente perché il valore assoluto del finanziamento non è indicativo, occorre tener conto dell’inflazione, dell’aumento dei prezzi di beni e servizi, dei farmaci, dei costi energetici (ancora la maggioranza degli ospedali è fortemente energivora), dei rinnovi dei contratti di lavoro del personale e delle eventuali incentivazioni economiche per un personale tentato dalla fuga dal Ssn, perché le motivazioni a restare a partire dagli stipendi tra i più bassi in Europa, non sono davvero molte.

“Se si valuta correttamente l’impatto di tutti costi fermarsi al valore nominale del finanziamento è limitativo e fuorviante… e si rischia di fare solo propaganda” afferma Banchieri,  aggiungendo che dire “che quanto proposto dal Governo non copre i costi correnti del Ssn e dei SSR è una semplice constatazione ed è una scelta politica: non ci sono risorse sufficienti da destinare perché le scelte allocative sono altre”.

Perciò converrà valutare i dati per quel che sono e significano, buoni ultimi quelli di Eurostat. Che confermano appunto l’esistenza in Italia di una situazione di sotto-finanziamento della spesa per la sanità, anche se – al solo evocarla – al Governo salta la mosca al naso: la sanità italiana pesa sul Pil  per l’8,41%, dato lontano dalla spesa sostenuta in Francia (11,5%), in Austria e Svezia (11,2%) ma anche in Spagna (9,22%). E questo è.

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