Roma, 27 novembre – Il fenomeno della progressiva “privatizzazione” della sanità nel nostro Paese sta acquistando dimensioni sempre più rilevanti. Secondo i dati rilevati dall’ultima analisi condotta dalla Fondazione Gimbe, nel 2024 la spesa sanitaria out of pocket (a carico dei cittadini) ha raggiunto in Italia 41,3 miliardi di euro, pari al 22,3% della spesa sanitaria totale: una percentuale che ormai da 12 anni eccede il limite del 15% raccomandato dall’Oms, soglia oltre la quale sono a rischio uguaglianza e accessibilità alle cure.
In valori assoluti questa spesa è cresciuta dai 32,4 miliardi di euro del 2012, mantenendosi sempre tra il 21,5% e il 24,1% della spesa totale. “Con quasi un euro su quattro di spesa sanitari
a sborsato dalle famiglie” commenta il presidente di Gimbe Nino Cartabellotta (nella foto) “oggi siamo sostanzialmente di fronte a un servizio sanitario ‘misto’ senza che nessun Governo lo abbia mai esplicitamente previsto o dichiarato. Peraltro, la spesa out of pocket non è più un indicatore affidabile delle mancate tutele pubbliche, perché viene sempre più arginata dall’impoverimento delle famiglie: le rinunce alle prestazioni sanitarie sono passate da 4,1 milioni nel 2022 a 5,8 milioni nel 2024″.
In altre parole, secondo l’analisi di Gimbe la spesa privata non puà crescere più di tanto perché nel 2024 secondo l’Istat 5,7 milioni di persone vivevano sotto la soglia di povertà assoluta e 8,7 milioni sotto la soglia di povertà relativa.
La composizione della spesa privata è desumibile dal Sistema tessera sanitaria: nel 2023 (anno più recente del quale sono disponibili i dati), i 43 miliardi di spesa sanitaria privata finiscono alla farmacie (12,1 miliardi), a professionisti (10,6 miliardi, 5,8 dei quali a odontoiatri e 2,6 ai medici), al privato accreditato con il Ssn (7,6 miliardi), al privato ‘puro’ (7,2) e infine al Ssn per le prestazioni rese in libera professione (2,2).
“Questi numeri” osserva Cartabellotta “dicono che la privatizzazione della spesa sta determinando una progressiva uscita dei cittadini dal perimetro delle tutele pubbliche, con l’acquisto sul mercato delle prestazioni necessarie’.
È proprio nel privato convenzionato, settore composto di strutture sanitarie, prevalentemente di diagnostica ambulatoriale, che erogano prestazioni senza rimborso a carico della spesa pubblica, che l’analisi della Fondazione Gimbe registra un vero e proprio exploit: tra 2016 e 2023 la spesa delle famiglie è aumentata del 137% da 3,05 a 7,23 miliardi, con un incremento medio di circa 600 milioni l’anno. Nello stesso periodo la spesa delle famiglie per il privato accreditato è cresciuta solo del 45%: di conseguenza – osserva Gimbe – il netto divario tra spesa delle famiglie verso il privato ‘puro’ e verso il privato convenzionato si è praticamente azzerato passando da 2,2 miliardi nel 2016 a soli 390 milioni nel 2023. “Tra i fenomeni di privatizzazione la dinamica più preoccupante è dunque la velocità di crescita del privato ‘puro'” evidenzia il presidente di Gimbe. “Infatti, mentre il dibattito pubblico continua ad avvitarsi sul ruolo del privato convenzionato, la cui incidenza sulla spesa sanitaria si è addirittura ridotta, i dati documentano la crescita esponenziale della spesa out of pocket verso il privato ‘puro’. Non trovando risposte tempestive nel pubblico né nel privato accreditato” conclude Cartabellotta “chi può pagare cerca altrove ed esce definitivamente dal perimetro delle tutele pubbliche. Questo circuito, insieme all’intramoenia, rappresenta l’unica scappatoia per il cittadino intrappolato nelle liste di attesa“.


